L’Europa, lo potrebbero riconoscere anche i più critici, ha messo, in questi ultimi anni, in campo molte iniziative per rilanciare e sostenere l’occupazione giovanile, o almeno ci ha provato. È, in questa prospettiva, di pochi giorni fa una nuova raccomandazione della Commissione tesa a rafforzare Garanzia Giovani allo scopo di costruire un ponte più solido verso il lavoro per la prossima generazione.



La pandemia di Covid-19 ha, infatti, evidenziato la necessità di proseguire, su questo tema, sulla strada già intrapresa e, come scrive lo stesso esecutivo europeo, “premere sull’acceleratore”. Il coronavirus, oltre alla crisi sanitaria in senso stretto, ha evidentemente fatto precipitare l’Europa, come peraltro il resto del mondo, in una recessione economica profonda. La disoccupazione aumenterà tra tutte le fasce di età, ma i giovani sono stati colpiti in modo sproporzionato: dall’inizio della crisi oltre uno su sei ha già smesso di lavorare.



Molti di questi ragazzi lavoravano in settori fortemente colpiti come i servizi di alloggio e ristorazione, le arti, l’intrattenimento, il commercio all’ingrosso e al dettaglio. Altri, che stanno cercando di entrare nel mercato del lavoro per la prima volta, hanno “bussato alla porta” di aziende che operano settori che non sono più in grado di assumere e stanno rimandando così il loro ingresso nel mondo dei grandi.

In molti Paesi, come ahimè l’Italia, questa generazione sta vivendo addirittura la seconda recessione economica della propria vita: chi aveva infatti 18 anni al culmine della precedente crisi dell’occupazione giovanile ne ha ora appena 25. È probabile poi che i tempi saranno ancora più duri per i gruppi discriminati o vulnerabili, in quanto le recessioni economiche tendono a inasprire le disuguaglianze.



In questo contesto tristemente noto, la proposta europea vuol contribuire ad accelerare le necessarie transizioni digitale e verde, riconoscendo le opportunità e le incertezze a esse legate. In particolare, l’Europa propone che si lavori per valorizzare e migliorare le competenze e le abilità (trasversali) necessarie per trovare un lavoro in un mercato in costante, e veloce, evoluzione. Tutti i giovani, ma non solo, europei dovrebbero possedere, secondo gli auspici della Commissione, almeno le competenze digitali di base.

In questa prospettiva il piano prevede il finanziamento di formazione pratica, e di breve durata, relative a specifiche esigenze dei giovani. I corsi così immaginati dovranno migliorare le competenze digitali dei giovani, come pure le capacità imprenditoriali e di gestione della propria (futura) carriera. I nostri giovani sono chiamati, insomma, a diventare, necessariamente, smart, pena l’esclusione dal mercato del lavoro ma non solo.

L’Europa è insomma pronta a investire per costruire questo “ponte” per portare i suoi ragazzi nel mondo dei grandi. L’Italia non potrà però esimersi da fare la sua parte. Il lavoro da fare qui, nel nostro Paese, sembra ancora molto e tra i mille decreti dell’esecutivo Conte non pare emergere questa priorità.

Non sarà che, inoltre, la nostra classe politica, ma in molti casi anche il nostro settore produttivo e il sistema formativo, è sempre analogico e, come dimostra anche la vicenda dello smart working pre-Covid, impaurito dalle innovazioni sfidanti che stiamo attraversando?