L’Italia è sempre più vecchia con il valore della disoccupazione giovanile altissima in confronto alla media europea: dunque siamo i meno virtuosi, i più egoisti e coloro che non si preoccupano per l’inclusione lavorativa dei nostri figli e nipoti. L’Italia, in particolare, ha fatto registrare la variazione percentuale assoluta del tasso di disoccupazione più alta da maggio a giugno 2022 (+1,9%) rispetto agli altri Paesi dell’Unione europea, portando l’indice della disoccupazione giovanile al 23,1% (a fronte di una media Ue del 13,6%), ovvero il terzo livello più alto nell’Ue. Peggio del fu Bel paese (fonte l’ufficio statistico europeo), Spagna (35%) e Grecia (35,5%).



Aggrava la situazione la relazione di Education and training monitor, che ci mette le dita negli occhi e ci fa diventare rossi di vergogna per il sistema di istruzione e formazione dove la spesa per l’istruzione e la popolazione laureata è la più bassa – rispettivamente del 3,9% del Pil e del 28,9% contro sempre rispettivamente di medie eu del 4,7% e 45,6%. Sconfortante la diagnosi di Ocse che rileva che i nostri studenti delle scuole superiori hanno gravi lacune in matematica, italiano, scienze, il 13% di loro poi abbandona gli studi e il 23% non lavora e non studia: è invisibile insomma. Ricevono da scuola e università una formazione generalista, eccessivamente calibrata sull’acquisizione di conoscenze e poco attenta alla trasmissione di competenze. 



Le competenze – il saper fare – sono (o sarebbero) quelle di cui le imprese, in un’ottica di breve periodo, hanno bisogno. La linea di politica economica che ne discende fa riferimento alla necessità di riformare i sistemi formativi per renderli funzionali alla produzione di forza-lavoro “occupabile”. La disoccupazione giovanile è aumentata sia perché le imprese hanno trovato conveniente, in una fase recessiva, non licenziare lavoratori altamente qualificati per non dover sostenere i costi della formazione dei neo-assunti, sia per il blocco delle assunzioni nel pubblico impiego.  L’assunzione di giovani qualificati nel settore pubblico avrebbe effetti positivi nel breve periodo di espansione della domanda interna e di lungo periodo sul tasso di crescita della produttività del lavoro.



In più, l’aumento degli occupati con elevata qualifica avrebbe ragionevolmente effetti sull’aumento dell’occupazione di lavoratori non qualificati, come risultato dell’aumento della domanda interna conseguente a un aumento dei consumi. Occorre attivare una politica molto più vicina tra l’offerta e la domanda di lavoro, integrando maggiormente le politiche formative con quelle del lavoro e trovare il modo affinché sui giovani ci sia un investimento forte e significativo per dare loro un futuro dignitoso e stabile. 

Le proposte di policy vedono una compresenza di attori che devono collaborare nella definizione di schemi e processi per facilitare la transizione dalla scuola al mercato del lavoro, passando per quello spazio di mezzo tra competenze e mercato che deve trasformarsi in opportunità formativa reale per concorrere alla proposizione di futuro dei giovani. Oggi, purtroppo, più spesso c’è un vuoto che separa anziché un luogo in cui transitare per percorrere un pezzo di strada utile. Gli attori territoriali sono coloro che hanno le leve e quindi le possibilità per supportare questa evoluzione. 

A questo proposito, è urgente lo sviluppo di strumenti per la validazione e la certificazione delle competenze in grado di rendere intellegibili e quindi spendibili quelle maturate nel percorso acquisito stando anche in opportunità di mercato. Nel nostro Paese è poco diffuso l’utilizzo di questo strumento in assoluto, praticamente assente sui giovani; andrebbe, invece, non solo concettualmente e metodologicamente sviluppato, ma anche reso accessibile con una distribuzione capillare. Rappresenterebbe un tassello importante nel percorso di valorizzazione e quindi di integrazione tra scuola/lavoro/vita sociale e comunità. 

Certo, bisogna investire in ricerca e formazione, utili ai diversi mondi che si incrociano in questa sfida, sia a livello locale che nazionale, e farne tesoro per lo sviluppo di processi, strumenti eazioni che possano concorrere a una maggiore giustizia generazionale che è d’obbligo.

Caro presidente Draghi, lei ha dato fiducia ai giovani, noi siamo più che convinti che loro risponderanno se aiutati ad affrontare questa sfida.

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