“Del resto mia cara, di che si stupisce / Anche l’operaio vuole il figlio dottore”. Così cantava nel 1966 Paolo Pietrangeli in “Contessa” una canzone simbolo di quel periodo storico nel nostro paese. Raccontava di una classe operaia che ambiva tramite lo studio a divenire almeno piccolo borghese. Probabilmente, insomma, votata kommunista, ma non voleva morire proletaria. La laurea vista, potremmo dire con altri termini, come ascensore sociale. Ne “L’avvelenata”, un altro classico, questa volta di Guccini, di un decennio più tardi si sottolinea ancora come la “madre non aveva poi sbagliato a dir: Un laureato conta più d’un cantante”.
Su questa questione il Paese sembra molto cambiato. Un recente studio di Unioncamere ha, infatti, rilevato come l’81% degli studenti di terza media, in procinto quindi di approdare alle superiori, pensi che un buon diploma possa da solo aprire a un futuro soddisfacente dal punto di vista lavorativo.
A questo dato si deve, tuttavia, aggiungere che la maggior parte di questi ragazzi considera comunque necessario combinare il diploma con adeguati percorsi formativi professionalizzanti. Solo il 19% ritiene indispensabile una laurea per fare carriera.
La nuovissima generazione, ribattezzata a questo giro Alpha, sembra dunque differenziarsi da quelle precedenti per una visione del periodo post-diploma in cui l’università è solo una delle tante opportunità per completare la propria formazione e inserirsi nel mondo del lavoro.
Nonostante ciò, anche quest’anno l’opzione licei dovrebbe essere predominante al termine delle iscrizioni scolastiche: 6 ragazzi su 10 sono, infatti, al momento orientati verso uno dei, sempre più numerosi e vari, indirizzi liceali. Un dato, peraltro, questo, in linea con quanto rilevato in passato da varie ricerche e, soprattutto, con le scelte effettive degli studenti registrate negli ultimi anni.
Sebbene il Sistema Informativo Excelsior di Unioncamere ci racconti che il 29% dei contratti di lavoro programmati dalle imprese dei settori industriali e dei servizi nel 2023 ha riguardato diplomati e che, nei prossimi 5 ani, la previsione è che tale quota superi il 31%, è da ritenersi comunque auspicabile che i nostri ragazzi continuino a studiare e a credere nel valore di “emancipazione sociale” che un titolo di studio più “alto” dovrebbe dare. L’aumento dei laureati, in definitiva, ce lo chiede anche l’Europa.
Un sistema Paese, una nazione direbbe la Premier, che ha ambizioni all’altezza della sua storia (si pensi, ad esempio, alle vicende dell’Università di Bologna) deve scommettere, infatti, sulla capacità di “produrre” e “attrarre” nuovi talenti e competenze.
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