A partire dalla prima rivoluzione industriale e in modo via via crescente con lo sviluppo ed il rapido succedersi delle innovazioni tecnologiche, si sono sviluppati studi aventi lo scopo di razionalizzare i processi e le produzioni. L’evoluzione dei processi di Project Management sta avendo, parallelamente con il procedere della rivoluzione tecnologica di Industry 4.0, un rinnovato impulso dettato anche dalla necessità di far spingere il modo di operare dei sistemi produttivi verso un continuo miglioramento. Proprio da questa premessa nasce la necessità di trasferire ai giovani tecnici, sin dalla loro formazione scolastica, metodologie avanzate che consentano loro di entrare nel mondo del lavoro già in possesso di una fornita “cassetta degli attrezzi” di tipo operativo.



Si sta così assistendo alla proposta, principalmente nei curricoli universitari e degli ITS Academy, ma anche in quelli di scuola secondaria superiore, di tecniche di gestione dei progetti che sono comunemente applicate nelle più avanzate realtà produttive. Come spesso accade, l’esistenza di studi di estrazione differente, ma finalità simili, fa propendere la scelta verso uno o l’altro con motivazioni che, più che essere legate ad analisi ponderate, sono frutto di posizioni ideologiche che sfiorano il dogmatismo.



Senza entrare nel merito di aspetti legati al lavoro e alle organizzazioni produttive sulle quali grandi esperti hanno scritto e sperimentato molto, vorrei soffermarmi sugli aspetti didattici di due metodologie che recentemente sono proposte all’interno di processi formativi: il Design Thinking e lo Scrum (tecnica legata alle metodologie della filosofia Agile). I due metodi hanno alcune similitudini, ma sostanzialmente si diversificano perché mentre nel primo la parte di ideazione e di studio preliminare è preponderante rispetto agli aspetti tecnologici e di produzione – si arriva come risultato finale a un prototipo non funzionante – il secondo parte “a valle” della fase di ideazione e si occupa principalmente dell’organizzazione del lavoro di gruppo per arrivare a un prodotto finale. Sarà più importante concentrarsi e razionalizzare la traduzione di un’idea in un possibile prodotto di successo o focalizzare gli sforzi sull’organizzazione degli aspetti tecnologici e produttivi?



Mi torna in mente il risultato di alcuni esperimenti compiuti da uno dei maggiori studiosi a livello internazionale dell’opera di Leonardo da Vinci, Mario Taddei, e riportato nelle sue pubblicazioni e nelle conferenze divulgative: partendo dall’analisi delle idee riportate nei famosi codici di Leonardo, universalmente riconosciute come geniali e innovative per l’epoca, un gruppo di ricercatori guidato dall’esperto ha cercato di produrre gli apparecchi del grande inventore, ma con somma sorpresa ha scoperto che, così come sono stati concepiti, non funzionano e non potranno mai funzionare. Solo lo sviluppo tecnologico, di materiali e processi produttivi, ha consentito, molti secoli più tardi e con le dovute modifiche, di rendere possibile la realizzazione dell’idea geniale. Per arrivare al prodotto, quindi, fondamentale è l’idea, ma altrettanto lo è la realizzazione.

In questo senso ci viene in soccorso un articolo non recentissimo (2018), ma reperibile navigando in rete, di Jennifer Kramer (Scrum vs Design Thinking – same, same but different) che, sulla base delle esperienze compiute in una grande multinazionale, arriva alla conclusione che, sfrondati da pretestuose rigidità, i due metodi non sono antitetici, ma al contrario completamente integrabili prevedendo di applicare il primo (Design Thinking) nella fase iniziale del progetto e di sviluppare con il secondo (Scrum) gli aspetti di progettazione esecutiva e di realizzazione del prodotto.

Tornando al campo educativo penso sia di aiuto riportare l’esperienza compiuta dall’ITS Academy Meccatronico Veneto che negli anni ha sperimentato, per l’effettuazione dell’attività di Team Working dei propri allievi, entrambi i metodi.

In particolare, l’applicazione dello Scrum è stata adottata sin dal 2011 e rivolta a tutti gli studenti come tecnica didattica per organizzare attività di progetto e realizzazione di devices meccatronici di piccoli gruppi di studenti (attualmente un centinaio di gruppi di lavoro da 6 studenti ciascuno), mentre la sperimentazione Design Thinking è avvenuta solo qualche anno dopo per alcuni gruppi di studenti per partecipare a un progetto nazionale proposto dal Miur (ora Mim) denominato ITS 4.0 e gestito da un team dell’Università Cà Foscari di Venezia.

Le valutazioni sull’esperienza portano ad alcune conclusioni che vale la pena di sottolineare:

– Da punto di vista formativo i due metodi possono non solo coesistere, ma anche essere integrati in modo funzionale e opportuno per la formazione del giovane tecnico.

– Nell’elaborazione del metodo è fondamentale tener presente la figura professionale che si intende formare e dare maggior peso e importanza a una fase o all’altra dell’intero ciclo di realizzazione del prodotto: in questo senso una prevalenza dello Scrum sembra più utile nella formazione di un tecnico operativo (Tecnico Superiore ITS Academy) mentre un’enfasi maggiore al Design Thinking può essere opportuna nella formazione universitaria, per sua natura meno portata all’applicazione.

– L’applicazione delle metodologie citate deve essere adattata al percorso di studi in modo flessibile ancorché rigoroso, ma non dogmatico.

– Quanto proposto deve avere una motivazione che deve essere compresa dagli studenti che in questo modo trovano la motivazione per applicare il metodo.

– Dal punto di vista della didattica, la focalizzazione non è sul prodotto o sul suo utilizzatore, obiettivi previsti da chi le ha teorizzate, ma sull’acquisizione di abilità trasversali quali la capacità di lavorare in gruppo e gli aspetti relazionali. Da questo punto di vista lo Scrum, a parere di chi scrive, ha una marcia in più.

Al di là di ulteriori valutazioni tecniche, sulle quali è già in corso un dibattito che sarà certamente alimentato dai “venticinque lettori” di queste righe, è importante sottolineare che è proprio dalla sperimentazione in campo didattico di metodologie innovative derivate dall’organizzazione produttiva che possono nascere un’evoluzione e una contaminazione fruttuose.

Ogni intervento in questo senso non può che avere, in prospettiva, ricadute positive anche per le imprese.

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