“Tu che guardi verso di me / Hai visto i tori nel sonno ed hai lasciato Madrid / Stai nei miei occhi e racconti / Le sirene e gli inganni del tuo sogno che va / Tu ragazzo dell’Europa / Tu non perdi mai la strada”.

Così cantava nell’ormai lontano 1982 Gianna Nannini del sogno europeo dei ragazzi di quella generazione. Un sogno che poi è, per molti giovani europei, continuato nella cosiddetta “Generazione Erasmus”, un ambizioso progetto che ha permesso a molti ragazzi di vivere una fondamentale esperienza di crescita umana e professionale.



Certamente quello dei giovani è un ambito di politiche comunitarie tra quelli di maggiore successo. Si pensi, ad esempio, al tentativo di definire una “Garanzia Giovani” valida, pur tra mille limiti e critiche, per i ragazzi di tutti gli Stati membri che dovrebbe agevolare la complessa transizione tra scuola e mondo del lavoro. In quel contesto si deve leggere il tentativo di declinare a livello comunitario un prototipo, e linee guida, di un “tirocinio di qualità” da offrire come opportunità alle nuove generazioni.



A distanza di dieci anni da questo tentativo emerge come permangono, tuttavia, ancora preoccupazioni riguardo alle reali condizioni di lavoro dei giovani tirocinanti, che non sono state adeguatamente affrontate dalle diverse legislazioni nazionali, in Italia anche da quelle regionali, e alle variazioni significative tra Stati membri e tipologie di tirocinio. Inoltre, mentre i tirocini sono sempre più riconosciuti come un passo fondamentale per aumentare l’occupabilità, in particolare per i giovani, un numero crescente di studi e ricerche denunciano pratiche sleali e casi giudiziari di pratiche abusive che hanno, ovviamente, sollevato l’attenzione dei media e alimentato le preoccupazioni della politica sulle scelte adottate a livello nazionale.



Un quadro reso ancora più complesso dall’insufficiente applicazione, e la mancanza di capacità, di controlli e ispezioni, nonché la posizione debole dei tirocinanti rispetto ai “datori di lavoro”. A questi problemi hanno, inoltre, contribuito anche vari fattori esterni, come i cambiamenti nel mercato del lavoro, guidati dalle transizioni verde e digitale in corso, la diminuzione della popolazione in età lavorativa, l’aumento di modalità di lavoro a distanza e ibride, nonché l’emergere di nuovi fenomeni come il “job hopping”.

L’Europa, quindi, può continuare a rappresentare anche per i ragazzi di oggi un sogno e un’opportunità aperta al futuro. Ciò sarà possibile, tuttavia, se ai principi, le linee guida, i progetti, si affiancherà la capacità, quasi artigianale, di affrontare i tanti, piccoli e grandi, problemi che la realtà socioeconomica, ma anche le “burocrazie”, pongono anche solo per l’attivazione di un “semplice” stage “europeo”.

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