L’Istituto di fisiologia clinica del CNR di Pisa ha pubblicato il Rapporto ESPAD® Italia 2023 da cui emerge in modo scientificamente documentato un dato che tutti noi sperimentiamo nella nostra quotidianità: la violenza giovanile in Italia è decisamente in aumento. Il report analizza ogni anno i fenomeni di maggiore impatto sociale tra i giovani di età compresa fra i 15 e i 19 anni. Secondo lo studio, quasi il 40% degli studenti delle scuole superiori ha partecipato a zuffe o risse nel corso del 2023; si tratta di circa 990mila ragazzi, con un aumento di 7 punti percentuali rispetto al 2019 (33%). Prevalgono significativamente i ragazzi: 46% rispetto al 34% delle ragazze, con un crescente coinvolgimento anche dei giovanissimi.
Nel 41% dei casi si tratta di violenza di gruppo rivolta a sconosciuti; sono decisamente in crescita anche le forme di violenza a carattere sessuale, in cui donne, ma anche poco più che bambine, subiscono abusi sessuali individuali e di gruppo. I comportamenti violenti sono spesso associati ad altri fattori di rischio, come il consumo di sostanze e l’uso problematico di Internet.
Ci sono spesso relazioni conflittuali con i genitori e tra i genitori, per cui si crea un circolo vizioso, in cui si intrecciano disagio personale, problemi relazionali e abuso di sostanze. Il vero e proprio collante della vita di gruppo è rappresentato dalla musica, che si configura come un linguaggio con cui trasmettere emozioni e sensazioni, sfogare rabbia e malessere, mentre consente di partecipare a rituali di gruppo che danno la sensazione di appartenere ad una community in cui non c’è spazio per la solitudine. Una sorta di antidoto alla pseudo-sicurezza che si sperimenta stando davanti al proprio computer a chattare con amici a distanza, veri e propri sconosciuti, o a giocare alla playstation con qualcuno dei videogiochi che permettono di sentirsi forti ed invincibili.
Violenza, musica e tecnologia
La relazione tra violenza e tecnologia è stata a lungo analizzata, non solo e non tanto in termini di causa ed effetto, ma in termini di comunicazione, a tal punto che oggi una violenza se non è videoregistrata, raccontata sui social e fatta circolare, non sembra neppure vera. Ciò che la rende vera non è il fatto in sé ma il fatto raccontato, condiviso, magari cantato in una sorta di ballata moderna come fanno i rappers, che in molti casi esasperano queste narrazioni fino a farne dei veri e propri proclami di autentica violenza. Quasi sempre esprimendo in modo volgare disprezzo per la donna, e desiderio di sottoporla ai propri istinti peggiori. Ed è proprio questo quanto è accaduto recentemente con Tony Effe, il trapper che, escluso dal sindaco di Roma dal Concertone di Capodanno, ha tenuto un suo contro-concerto al Palaeur.
Nei testi delle sue canzoni le donne sono spesso oggettificate e non mancano riferimenti espliciti e impliciti a un immaginario misogino tipico della musica rap e trap. Nella canzone Dopo le 4, per esempio, canta: “Ti sputo in faccia solo per condire il sesso/ Ti chiamo ‘puttana’ solo perché me l’hai chiesto…/ Ti piace solamente quando divento violento”. La canzone Taxi sulla luna, cantata con Emma, inizia con la frase “primo bacio, primo trip, caramelle nel suo drink”, riferimento esplicito alla pratica illegale di chi mette di nascosto droga nei bicchieri delle ragazze per stordirle e violentarle. La canzone continua con “Martina o Vanessa?/ Non mi ricordo, mi gira la testa/ La porto a casa, le faccio la festa”.
Niente di vagamente artistico in questi testi, che fanno pensare a quel disprezzo per la donna che tante volte riecheggia nelle tipiche relazioni tossiche che spesso precedono gli stessi femminicidi. Esplode con forza la contraddizione tra i movimenti Me too sostenuti da una vasta e trasversale rappresentanza femminile contro le molestie sessuali e la violenza sulle donne, diffusi a livello globale in modo virale, e questo genere di musica, che riflette l’incoerenza di un sistema che mentre da un lato sostiene i diritti delle donne, dall’altro dà voce a una delle peggiori forme del cosiddetto patriarcato.
L’errore è stato invitare Tony Effe, non escluderlo quando è scoppiata la polemica. Ma il problema non è neppure il testo in sé, che è solo una parte di ciò che canta Tony Effe. Il problema è che nelle sue canzoni non c’è molto altro oltre al testo, già povero, volgare e offensivo. La musica non esiste; sembra che l’autore non abbia ricevuto un’educazione musicale degna di questo nome. La sua stessa voce ha un tono piatto, sussultorio ma quasi monocorde, del tutto autoreferenziale, che parla solo di sé, dell’autore che si presenta come un vincente solo perché offende e violenta le donne, senza alcuna attenzione per la loro identità (“Martina o Vanessa? /Non mi ricordo…”).
La sua cifra è di una povertà culturale che non possiamo ignorare, anche se i suoi fans sono molti, e dopo questa vicenda probabilmente saranno ancora di più. Qualcuno ha ben detto: “Questo è infatti il vero punto della questione: questo non è un prodotto artistico, ma un prodotto, punto”. Fare spazio ai giovani anche sul piano artistico-musicale è cosa buona e giusta, ma per questo occorre che ci sia arte e musica e non solo una rabbia gratuita ed offensiva che innesta spirali di sgradevole imitazione.
Mancanza di rispetto
Sembra che per tanti ragazzi sia davvero molto stretta la strada tra il ripiegamento su sé stessi, in cui si rifugiano molti giovani – dando luogo ai famosi Hikikomori, nel loro mondo totalmente virtuale, fatto di videogiochi più o meno violenti -, e le riunioni di massa come i concertoni, in cui l’anonimato personale sembra dissolversi, cantando musica violenta, aggressiva, spesso ai danni delle donne.
Per gli uni e per gli altri davanti a queste diverse forme di violenza e di solitudine, viene meno la relazione bella e coesiva con un amico o un’amica, con cui condividere emozioni e sentimenti, progetti e programmi. Non stupisce se esasperando il vissuto di una violenza così rozza contro sé stessi e contro gli altri, per lo più contro le donne, ci si scagli anche contro Dio, riprendendo una vecchia e brutta abitudine: quella della bestemmia. Oggi tra i giovani la bestemmia è tornata a farsi sentire, sugli autobus, nelle discoteche, anche nei momenti di lavoro di gruppo, davanti alle difficoltà e alle frustrazioni, si bestemmia un Dio in cui si dice di non credere, per cui ci si giustifica, proprio negandone l’esistenza e finendo col farsi ulteriormente del male.
Carenza educativa
Sono fatti che mostrano l’importanza di monitorare costantemente, soprattutto sul piano educativo, il fenomeno della violenza giovanile e di intervenire sui fattori che ne alimentano la diffusione, per prevenire le conseguenze negative sul benessere fisico e psicologico delle ragazze e dei ragazzi. L’Enciclopedia Treccani ha scelto come parola dell’anno quella del Rispetto, ma in questo caso i giovani, trascinati da un’ondata di violenza, alimentata dalla sua spettacolarizzazione, finiscono col mancare di rispetto a sé stessi, alle amiche e ai colleghi, perfino a Dio stesso. Ricominciamo dal rispetto, anche quello verso sé stessi.
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