I giovani medici tendono a scartare la specializzazione in medicina d’urgenza e rianimazione, rivelatesi fondamentali nell’ultimo anno e mezzo per provare ad arginare gli ingenti danni, in termini di vite umane recise, provocati dalla pandemia di Coronavirus. A effettuare un focus sull’argomento è stato “Il Corriere della Sera”, che ha posto in evidenza come quest’anno fossero state messe a disposizione addirittura 17mila borse di studio quinquennali per gli specializzandi che inizieranno i corsi il 1° novembre, ma, malgrado tale incremento, ben 1.300 di esse sono rimaste non assegnate o sono state rifiutate.



Al di là del fatto che una parte di queste possa comunque trovare un destinatario scorrendo gli elenchi degli esclusi e con la messa di nuovo a bando dei posti vuoti nel 2022, colpisce il fatto che queste lacune si palesino proprio in quei settori più sollecitati dal Coronavirus; infatti,  per i medici di pronto soccorso su 1.077 borse 456 sono rimaste senza titolare, per gli anestesisti e rianimazione 166 su 2.100 e persino per microbiologia e virologia ne sono avanzate 76. In più, fra coloro che hanno accettato il posto di medicina d’urgenza c’è un 15 per cento che lo ha fatto per fare esperienza e che il prossimo anno proverà a passare a un altro settore.



GIOVANI MEDICI PREFERISCONO CARDIOLOGIA, OFTALMOLOGIA, OTORINOLARINGOIATRIA

Come evidenziato ancora da “Il Corriere della Sera”, ormai da qualche anno i giovani medici preferiscono cardiologia, oftalmologia e otorinolaringoiatria. “I giovani sono disincentivati a scegliere la specializzazione in pronto soccorso o rianimazione perché è un lavoro molto gravoso che non è riconosciuto – ha spiegato Salvatore Manca, presidente della Società italiana della medicina di emergenza-urgenza (Simeu) –. Anzi, negli ultimi tempi sono aumentate le aggressioni da parte dei malati e dei parenti, che costituiscono un preoccupante rischio per tutti noi”.



“Per giunta – ha proseguito – i medici di medicina d’urgenza sono gli unici che non possono fare libera professione intramoenia”. Insomma, una situazione che rischia di generare un’emergenza nella già gravosa emergenza e di non garantire alcun tipo di certezza per il futuro del sistema sanitario del nostro Paese.