Le contraddizioni della nostra economia e il ruolo che le Amministrazioni Pubbliche italiane possono svolgere sono state – sotto diverse angolature – descritte in alcuni autorevoli interventi delle ultime settimane.
UnionCamere, attraverso il suo Segretario Giuseppe Tripoli, ha nello stesso periodo dato voce alla difficoltà delle imprese nel trovare professionalità e personale adeguato ai loro bisogni, descrivendo le 4 principali cause del fenomeno: bassa percentuale di laureati in Italia; mancato o fallito orientamento scolastico; migrazione verso altri Paesi di professionalità ricercate (valorizzate intelligentemente e velocemente, con remunerazioni adeguate); denatalità.
Se per 100 persone che vanno in pensione solo 40 iniziano a lavorare, la situazione è insostenibile; è un dato evidente a chiunque.
A distanza di pochi giorni, anche la Fondazione Con il Sud aveva lanciato l’allarme sull’effettiva capacità dei Comuni meridionali (ma non solo), di centrare gli obbiettivi di spesa programmati dal Pnrr nei tempi stabiliti. Nel rapporto – che attinge da ampi lavori del Centro Studi della Banca d’Italia – sono state evidenziate le interrelazioni tra alcuni indicatori individuati (numero di dipendenti dei Comuni, distribuzione anagrafica, la “qualità” intesa come possesso della laurea, dimensione economica del comune), nel tentativo di creare un indice di rischio capace di evidenziare la criticità denunciate. Dall’analisi è emerso con chiarezza che molte amministrazioni importanti del centro-sud (fra quelle con più di 60.000 abitanti) hanno bisogno di immediato supporto per portare a termine gli impegni del Pnrr.
Anche le parole del Presidente dell’Anci Antonio Decaro, su La Repubblica, non hanno avuto toni diversi: il Sindaco di Bari denuncia infatti che i Comuni sono già (o lo saranno nei prossimi mesi) beneficiari di risorse Pnee per circa 40 miliardi e hanno presentato progetti per il doppio. Decaro teme molto la “burocrazia autorizzativa”, invocando procedure snelle, come accaduto per il Covid, assimilando l’attuazione del Piano a una vera e propria emergenza. Decaro afferma molto anche sul tema delle professionalità: “Se vogliamo trattenere giovani e professionisti, convincerli che vale la pena lavorare per un Comune in un progetto Pnrr, dobbiamo cambiare la norma e consentire ai sindaci di stabilizzarli dopo il 2026, alla fine del Piano”. “I ragazzi”, aggiunge, “ce lo dicono: non vengo a lavorare ora per te perché tra quattro anni sarò senza impiego. Si guardano attorno e cercano situazioni più stabili, anche pagate meno ma con una prospettiva”.
Cosa fanno emergere le tre analisi citate? Cosa le accomuna, cosa le può ordinare per coglierne il senso profondo?
In un articolo> dello scorso anno su questo giornale, Massimo Ferlini ha snocciolato numeri impressionanti sul mercato del lavoro: più di 3 milioni di Neet (1,7 sono donne tra i 15 e i 34 anni) sono lasciati alla deriva, dissipando una vera miniera di doti e talenti. Cose note, ma un particolare nell’articolo, mi è rimasto impresso: la concreta contestualizzazione, nel disegno generale dei servizi di politica attiva, della realizzazione del Next Generation Eu, richiamando l’origine del nostro Pnrr, lo strumento che traccia gli obiettivi, le riforme e gli investimenti che l’Italia intende realizzare con i fondi europei straordinari, per attenuare l’impatto economico e sociale della pandemia e rendere l’Italia un Paese più equo, verde e inclusivo, con un’economia più competitiva, dinamica e innovativa.
Questo ci aiuta a rimettere a fuoco l’obiettivo cardine del Piano: next generation non è una distribuzione di risorse economiche gestite dalla past generation (come spesso si sono percepiti i finanziamenti europei). Tra Next Generation Eu e Pnrr non c’è gara! Per estetica, sonorità ma soprattutto perché immediatamente ci porta al motivo: prossima generazione, ovvero il futuro, la speranza, l’energia per cambiare le cose e riprovare a partire. Stare su questo, può aiutare e guidare nelle scelte.
Da queste pagine, da tempo si è evidenziato che imprese e Pa hanno un problema di natura culturale e antropologica che li accomuna: la pretesa di indipendenza e l’individualismo praticato, tanto personale che delle organizzazioni.<
Ma, come il Covid ha dimostrato, l’approccio non è adeguato alla velocità dei cambiamenti che viviamo. Se una cosa abbiamo imparato dalla pandemia è che da soli non si fa molta strada, come testimoniano tutti i giorni i milioni di italiani, impegnati insieme in una delle migliaia di organizzazioni no profit: loro fanno sviluppo, reggono gli urti di una crisi economica e sociale che morde. Ogni alternativa a sistemi collaborativi e condivisi ha fino a oggi mostrato solo performance inadeguate, se non addirittura nocive.
Come agire? La dinamica top/down non funziona. Vale per le organizzazioni e per le nazioni allo stesso modo. La qualità implica cura e investimento quotidiani, manutenzione e capacità progettuale insieme; occorre applicarsi insieme, in chiave sussidiaria, aiutando chi è indietro e valorizzando chi riesce meglio, anche mitigando l’aspetto meritocratico dei bandi di assegnazione delle risorse, da finalizzare prioritariamente al concreto bene pubblico e al ritorno dell’investimento sostenuto.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 131/2020, elevando al rango paritetico di co- programmatori e co-realizzatori gli enti del Terzo settore, ha autorevolmente riconosciuto il valore di una dinamica collaborativa che può ispirare i rapporti con i Comuni, non più terminali di un processo partito chissà dove, ma protagonisti di un processo di partecipazione capace di utilizzare e diffondere conoscenze, mettendo in comune risorse, saperi, dotazioni infrastrutturali, cominciando dalle ITC.
Certamente l’ingresso di giovani negli Enti Locali è essenziale per riportare alla naturale fisiologia un organismo a lungo bloccato (cui, contemporaneamente si chiedeva sempre di più e sempre più in fretta, “senza oneri aggiuntivi per lo Stato”); ma occorre che questo innesto di nuove energie si accompagni a una seria analisi dei fabbisogni delle Amministrazioni, a un’efficace e rapida selezione, a un indispensabile affiancamento iniziale, con modalità tutte da sperimentare. Nella complessità del momento e del contesto occorre, oggi più che mai, non perdere d’occhio lo scopo dell’azione, il Valore Pubblico ricercato, invitando ognuno a mettere le proprie competenze al servizio dell’obiettivo perseguito, sia che si tratti di investimenti sociali per l’ingaggio di giovani Neet, sia che si tratti di mitigare i rischi idrogeologici, sia per la costruzione di un’opera infrastrutturale, sia che si tratti dello sviluppo turistico di un borgo: questo è il punto di metodo che può farci uscire dalle gabbie del “già saputo” e avviare la ricostruzione (economica, sociale, umana) di cui abbiamo bisogno.
Il modello organizzativo è ancora tutto da inventare: quello che appare ormai chiaro è che quelli attuali, quelli noti e sperimentati, non sono adeguati. Possiamo però attingere a quelle esperienze – seppur piccole o sporadiche – di buona amministrazione, rinvenibili a ogni livello, magari anche in Pa dalle perfomance complessivamente non eccezionali.
Esistono ancora, infatti, uomini e donne che rischiano per fare bene, e liberamente tentano un passo, una scelta, un’iniziativa, capace di generare bene comune, anche nei meandri di quelli che appaiono, ai più, carrozzoni senza senso.
Questa è, intanto, la strada praticabile da subito, anche dalla next generation, un bene comune stabile e non stabilizzato, anche oltre il 30 giugno 2026. Con speranza. Nonostante tutto.
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