VITO MANCUSO: “SERVE UN ROBIN HOOD DELL’EDUCAZIONE”, IL COMMENTO SUL RAPPORTO CENSIS

Giovani chiusi, “esuli” e “sonnanbuli”, senza fede e con poca capacità di reagire davanti ai problemi: la fotografia data dall’ultimo Rapporto Censis uscito in questi giorni è stata analizzata dal teologo e scrittore Vito Mancuso nel suo consueto editoriale su “La Stampa”. Il risultato è che una vera speranza per il futuro dei giovani non può concepirsi senza l’educazione.



«Manca l’orientamento alla società di oggi», osserva Mancuso, specie dove essa esprime la sua natura più sincera, ovvero nei giovani: davanti alla “speranza” nutrita negli anni Sessanta-Settanta, i successivi decenni secondo il teologo hanno visto il fallimento di una società che cercava sempre più la “dolce vita” piuttosto che l’impegno educativo. «È un grande inganno far credere che la vita sia dolce […] l’educazione è sapere assaporare e sopportare il “dolce-amaro” della vita», è in fin dei conti un continuo orientamento. Come dimostra il Rapporto Censis, i giovani sembrano aver perso la voglia di lottare e assieme anche la speranza di poter cambiare qualcosa nel mondo di oggi e di domani.



I GIOVANI, L’EDUCAZIONE E LA SOCIETÀ FALLITA: PARLA VITO MANCUSO

Secondo Vito Mancuso oggi non mancano affatto i “calcoli” sulla vita quotidiana, quello che invece viene a mancare ormai da tempo sono “gli ideali”: «ciò di cui un essere umano ha bisogno, soprattutto quando è giovane, è la motivazione e l’orientamento». Citando l’Inferno di Dante, è il seguire una stella polare unica che non può mai portare a fallimento: «occorre avere una stella e avvertire il desiderio di seguirla», sottolinea ancora lo scrittore su “La Stampa”.

Le società fioriscono quando gli individui trovano una «stella comune da seguire», al contrario «falliscono quando gli individui non hanno più una stella in comune e camminano ognuno indirizzati verso ciò che Guicciardini chiamava “particulare”». Se il Censis inquadra che entro il 2040 solo una coppia su quattro avrà figli non è per un “mero” tema economico (comunque esistente), ma c’è ben di più secondo Mancuso: «cosa significa fare figli? Un tempo era chiaro […] la famiglia era percepita più importante del singolo». Oggi non è più cosi e, al di là dei giudizi in merito, resta il tema della mancanza di sacrifici e di “sguardo” verso l’altro: è una società in cui al “Te Deum” è come se fosse stato sostituito il “Me Deum”, «non avrai altro Dio all’infuori dell’Io». Per questo motivo, secondo Mancuso, è difficile pensare ad uno sforzo educativo con una concezione così individualista della vita e della storia,



Per il teologo l’unica vera speranza di salvezza dalla decadenza è il ritorno all’educazione: «lo devono fare le famiglie, le aziende, la scuola»; non solo orientamento ma anche piena gioia di vivere e motivazione. L’idea di Vito Mancuso è quella di «togliere denaro a tutti i plurimilionari del mondo del divertimento e darlo agli insegnanti e a tutti gli educatori», in una sorta di «Robin Hood dell’educazione» sempre più urgente secondo il teologo editorialista, «è intollerabile la sperequazione tra chi fa divertire e chi lavora per educare, e uno Stato degno non può assistere a questa morte della speranza nei propri giovani». Il tema resta anche se non siamo così convinti che “basti” un’inversione di investimenti per ottenere il frutto tanto voluto dell’educazione: un lavoro continuo – spesso anche “silenzioso” – di testimonianza nella vita di tutti giorni e nei propri ambienti forse può essere un percorso educativo più “remunerativo” che una “lotta di classe” contro l’industria della dolce vita. Giusto recuperare la speranza e la gioia di vivere, ma riteniamo dipende sempre però da quale origine farle dipendere