Si è commossa Susanna Carbotti, quando ha concluso la sua testimonianza dicendo “vorrei fare qualcosa di utile per il mio Paese”. Ha raccontato che 9 anni fa, grazie alla sua passione per i motori e le moto, non si è fatta sfuggire l’opportunità di andare a lavorare in Germania alla Bmw. Poi il Covid l’ha bloccata da sola in un paese straniero. Da tempo pensava di rientrare in Italia, ora è decisa a farlo. Vogliono tornare in Italia e cercano lavoro anche Anna Chiara Mazzotta, direttore della comunicazione in Philips, e Cecilia Croce, che vivono entrambe ad Amsterdam. È invece felice del suo nuovo lavoro presso Enel il giovane matematico Edoardo Lombardo, rientrato direttamente da Parigi. Gianluca Spadino invece tornerà a fare l’ingegnere da settembre nel suo paese natale, Catania. Per non parlare di Michele Tartari, esperto in robot, entusiasta per aver trovato lavoro durante la pandemia presso l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova.
Questi sei ragazzi sono uno spaccato assai rappresentativo degli oltre 1.100 giovani italiani che vivono all’estero e che hanno risposto al questionario promosso da PwC, Talents in Motion e Fondazione per il Sud, i cui risultati sono stati presentati ieri a Roma alla presenza del ministro Provenzano.
Può l’Italia nei prossimi anni prescindere dal contributo che i giovani trasferitisi all’estero sono disposti a dare rientrando a lavorare per il loro Paese? E nel nuovo contesto post-Covid, la politica, le imprese, il mondo accademico saranno capaci di mettere a fattor comune le rispettive competenze per creare le condizioni migliori affinché questa migrazione di ritorno abbia effettivamente corso?
La ricerca su “Covid-19: L’impatto sui giovani talenti”, condotta dal Centro Studi PwC diretto da Sandro Bicocchi, in collaborazione con l’associazione Talents in Motion e la Fondazione Con il Sud, è stata realizzata in piena pandemia attraverso la piattaforma LinkedIn, con l’obiettivo di comprendere come stanno cambiando gli stili di vita, i percorsi professionali e le aspettative dei talenti italiani.
L’elevato numero di risposte ricevute (1.104) ha reso il campione della ricerca assai attendibile. Il 95% di questi è residente all’estero (30% in UK), il 74% è di età compresa tra i 18 e i 35 anni, il 57% sono uomini e il 43% donne, l’83% ha una laurea e un master.
Le azioni messe in campo dal governo italiano sono valutate come le più efficaci tra tutti i paesi dell’Unione Europea. Il modo come l’Italia ha reagito alla crisi è diffusamente percepito come il migliore, dopo la Germania.
Oltre il 40% dei talenti italiani prevede grandi cambiamenti nel proprio stile di vita. Gli impatti più forti sono attesi nel mondo del lavoro. Per il 75% la crisi post Covid-19 sarà lunga, coinvolgendo tutto il 2021. La possibilità di ricongiungimento con i propri familiari è un elemento importante nel valutare un rientro in Italia (82%), ben maggiore delle considerazioni di carattere economico. Il 17% ritiene più importante, proprio in questa fase, assicurarsi una maggiore stabilità del percorso professionale e il 16% che ci siano più opportunità di carriera e crescita professionale rientrando in Italia.
Tra i talenti residenti all’estero, 1 intervistato su 5 ha dichiarato di aver perso o sospeso il lavoro. Chi ha continuato l’attività, lo ha fatto prevalentemente in smart working.
Nonostante lo scenario internazionale non sia dei più promettenti, una quota importante degli intervistati intravede nuove opportunità sia a livello di Sistema Paese (50%) sia per la propria carriera (24%).
L’esperienza che si è andata maturando con il lockdown e il ricorso massiccio allo smart working non ha costituito un problema per gli intervistati, costituendo anzi un’opportunità molto importante, soprattutto per gli effetti positivi su ambiente, benessere e produttività. Il 96% del campione possiede, infatti, le competenze digitali per lavorare da remoto. Il 69% degli intervistati, infine, auspica che lo smart working possa essere adottato come soluzione complementare all’attività in ufficio e il 15% che diventi la modalità di lavoro prevalente.
Dopo la presentazione dei dati, la discussione si è concentrata sulle cose da fare. Se questo è il quadro quali sono gli insegnamenti e, soprattutto, gli interventi che l’Italia deve adottare?
Secondo Pier Luigi Vitelli, senior partner di PwC, bisogna concentrare l’attenzione sulla necessità di trasformare questi giovani in imprenditori, soprattutto nei settori chiave dell’economia digitale e nei nuovi campi relativi alla sostenibilità e all’economia circolare.
Per Patrizia Fontana, presidente di Talents in Motion, è necessario cogliere l’opportunità con azioni mirate per fare incontrare aziende, pubblica amministrazione e giovani talenti.
Per Carlo Borgomeo, presidente di Fondazione Con il Sud, “l’opinione espressa dai ragazzi italiani che vivono all’estero coincide con quella dei ragazzi che sono rimasti, il che dimostra che gran parte del futuro del nostro paese dipenderà da questa alleanza e dalla capacità di chi governa di saper non deludere queste energie”.
Per Vito Grassi, vicepresidente nazionale di Confindustria, la leva del capitale umano è decisiva per il progetto-Paese. “Il tema trattato oggi è stato affrontato dai promotori con molta serietà. All’estero c’è più rispetto per il merito e i nostri giovani trovano condizioni di vita migliori. Il punto è rendere attrattivo un territorio. E questo vale per tutti, sia per quelli che vogliono ritornare che per quelli che vogliono restare. Il punto che emerge dall’indagine è la fiducia nel futuro dell’Italia. È la leva più importante, questa crisi può portare nuove opportunità lavorative. Ma anche negli stili di vita e nel lavoro di tutti noi”.
Per Patrizia Lombardi, prorettore di Torino e presidente della Rus, la rete delle università per lo sviluppo sostenibile, “la formazione rimane il tema centrale dopo la pandemia. Per il nostro Paese ormai è chiaro a tutti che la scuola, l’università, la trasformazione digitale, saranno le priorità per molti anni”.
Il ministro Provenzano nel suo intervento ha inquadrato il tema all’interno del più generale progetto di modernizzazione del Paese, che deve essere affrontata con un grande impegno sia dal pubblico che dal privato. Il costo del lavoro dovrà essere ridotto per le aziende del Sud, per renderle più competitive. Nel “piano per il Sud” la terza misura è l’innovazione. Ora bisogna lavorare insieme sui temi della ricerca, sul credito d’imposta, sulle aziende che funzionano. Senza cadere nella retorica dell’eccellenza, che spesso fa rima con “l’eccezione che conferma la regola”.
Lo Stato deve garantire maggiore responsabilità delle grandi aziende pubbliche, sviluppare con più coraggio le Academy come attrazione per i talenti, all’interno di un programma di innovazione sociale forte. La trasformazione urbana, la rigenerazione, le reti di cittadinanza, restano lo sbocco più concreto per chi vuole lavorare in Italia”. Poi il ministro ha proseguito: “Acceleriamo sulla trasformazione dell’economia digitale. Lo smart working è un grande cambiamento del mondo del lavoro. Dobbiamo introdurre il diritto alla disconnessione, ma la precondizione di tutto è il diritto alla connessione. Superiamo la discussione ‘esoterica’ sui pericoli del 5G. Spezzare l’isolamento delle aree rurali e delle zone interne oggi è decisivo. Sono d’accordo – ha poi concluso –, bisogna costruire un’alleanza tra chi è andato via e chi è rimasto”.
Poi la parola è passata ai ragazzi, ai veri protagonisti del dibattito, da cui è arrivata la conferma di una volontà di partecipazione. Tocca al Paese non sprecare la possibilità di schierare questa forza vitale per vincere le sfide che ci aspettano.