In una società che sembra rinnegare sempre di più i suoi valori del passato, cambia anche il paradigma che ha sempre accompagnato i giovani nei loro primi passi nel mondo del lavoro, sempre più compiuti per il semplice scopo di guadagnarsi un sostentamento da spendere nella vita privata, ignorando quella ricerca dell’indipendenza e della realizzazione personale e sociale tanto cara ai loro genitori. A dimostrarlo è il più recente rapporto redatto dall’istituto Ipsos con l’Area studi del sindacato LegaCoop citato dal Corriere della Sera, che ha indagato proprio il rapporto (questo il titolo) tra “I giovani e il lavoro”, partendo da un campione compreso tra i 18 e i 34 anni.
Con una diminuzione di una posizione nella classifica, per gli under 35 la realizzazione lavorativa è solamente all’ottavo posto tra le priorità, preceduta da valori con il rispetto, l’onestà, la libertà, l’amicizia, la sincerità e l’appartenenza familiare, indicati da un numero tra il 36% e il 50% degli intervistati: solo il 32% dei giovani indica il lavoro come una priorità, affiancandolo alla fedeltà amorosa e amicale.
Il report Ipsos: “Giovani dal lavoro cercano un’equa contribuzione”
Indagando su cosa significhi lavorare, la maggior parte degli intervistati ha indicato “una fonte di reddito“, seguita nelle preferenze da “un diritto” e – terzo nella scala valoriale – “un modo per affermare la propria indipendenza”. Ciò che maggiormente colpisce del report Ipsos è che tra i giovani è particolarmente diffuso un certo timore per il mercato del lavoro, con un 40% impaurito dallo sfruttamento che raggiunge quasi il 50% (esattamente il 48) guardando alle sole regioni meridionali; mentre il 28% teme di non avere più momenti liberi e un altro 24% che gli orari lavorativi diventino opprimenti. Affacciandosi al mondo del lavoro, sono sempre di più i giovani che guardano principalmente ad un’equa remunerazione – preferendo nel 30% dei casi una paga fissa unita ad una parte variabile – ma anche ai benefit aziendali, alla flessibilità, alla possibilità di richiedere lo smart working e al welfare aziendale.
“L’impegno”, commenta il presidente di Adept Francesco Seghezzi interpellato dal Corriere, “sta perdendo la sua centralità in quanto tale per diventare uno strumento utile a realizzarsi fuori dal mondo professionale”, con i giovani che preferiscono spendere la paga del lavoro nella vita sociale, nelle serate fuori e in esperienze e beni di consumo. Non solo, perché negli under 35 sembra essere caduto il mito del posto fisso, sostituito da un “mercato più dinamico” nel quale i giovani preferiscono sfruttare le loro “competenze elevate” per cambiare lavoro non appena il vento della remunerazione soffia altrove.