Forse qualcosa di nuovo si va profilando in giro per l’Italia. Che la gente si sia stancata di parlare dei “giovani” solo come un problema? E del loro “disagio” come un enigma la cui soluzione va delegata ad altri, agli esperti? Un segnale è venuto dall’ultimo Meeting di Rimini, dove si sono incontrate alcune interessanti esperienze, sorte sul territorio in diverse regioni del Paese, nel workshop Il grido dei ragazzi: come risuona nella comunità? L’interrogativo cioè è stato posto sulla comunità, sulle persone, sul desiderio di capire come stare di fronte ai ragazzi. Per incontrarli servono delle competenze? E quali? Cosa significa essere competenti?



Il malessere delle persone in età adolescenziale e giovanile è tuttora una condizione diffusa e gli indici epidemiologici relativi ai disturbi continuano a preoccupare. Ma il fenomeno è irriducibile all’aspetto clinico e, pur riguardando la salute delle persone, è correlato a fattori non sanitari (cfr. i “fattori extraclinici” come determinanti di salute). Infatti la salute ha a che fare con il modo di vivere, le relazioni sociali, l’epoca storica, il lavoro o la scuola, la famiglia. E il disagio giovanile appare espressione di una crisi più ampia, legata al cambiamento epocale degli ultimi decenni e agli aspetti educativi, sociali, culturali e comunicativi che lo caratterizzano. Il tema della prevenzione dei disturbi psichici rimane più che mai attuale e tuttavia interessa maggiormente la comunità, la famiglia, la scuola, la rete sociale e tutto quanto fa parte dello stile di vita, piuttosto che la dimensione clinica in senso stretto.



Nella vita reale l’incontro con i ragazzi avviene ovunque, in famiglia, a scuola come negli oratori, sui gradini delle piazze, nei parchi, ai centri commerciali, o a un pronto soccorso, nei servizi sanitari e psicosociali, fin nelle comunità. Lì essi incontrano genitori, educatori, insegnanti, personale esperto (pediatri, psicologi, psichiatri), amici, gente comune…, che spesso si trovano in gran difficoltà nel relazionarsi con loro, ma che sono in gioco e hanno titolo per starci, ciascuno con il proprio approccio, il proprio sapere, il proprio linguaggio. Quindi, al di là di proporre discorsi generali sul tema e prima di specifiche forme di intervento, conviene far emergere l’esperienza di chi è in campo, educa, accompagna, cura i ragazzi con il loro bisogno di significato, spesso in ombra, nella zona grigia tra disagio e disturbo.



Decisivo è l’incontro, il fatto che il giovane possa riconoscere un altro in cui riporre fiducia. In altre parole, l’incontro con il giovane pone la questione della “competenza”, che vale tanto nel caso del professionista disponibile quanto per ogni figura di adulto capace di ascolto. Qui si apre un interrogativo rilevante: non bastano titolo di studio e capacità tecnica, piuttosto che cautela o umano zelo, a seconda di chi è in gioco, perché il ragazzo possa intercettare il seme di una relazione significativa? Se ne è parlato nell’incontro pubblico proposto da Medicina e Persona e FOE su Adolescenti e giovani nel disagio: una domanda per chi educa. Federico Pichetto e Luigi Ceriani sono intervenuti offrendo uno sguardo molto penetrante sul passaggio di vita dell’adolescenza, l’incontro con la persona, la funzione educativa, la possibile competenza dell’adulto: questioni che meritano un approfondimento attraverso gli interventi che seguiranno a questo articolo, a cura dei due relatori.

Certo non si può prescindere dall’ambiente, dalla comunità e dal contesto di un certo territorio, nel cui tessuto di relazioni la vita dei ragazzi si svolge trovando o meno reali interlocutori. Prima di concludere perciò vale la pena di tornare alle esperienze di lavoro territoriale cui si è accennato all’inizio. La loro funzione è quella di muoversi nell’orizzonte della “Coalizione comunitaria”, termine coniato dalla letteratura scientifica internazionale per identificare e promuovere un modello di intervento atto a superare le difficoltà dei giovani di accedere ai servizi e a realizzare azioni preventive efficaci, coinvolgendo la realtà sociale e le aggregazioni presenti nel territorio, in collaborazione con le istituzioni sociosanitarie.

Si tratta di costruire una “alleanza” che, oltre a favorire l’integrazione con enti e operatori professionali, mobiliti la rete sociale di cittadini, scuole, oratori, centri di aiuto allo studio, gruppi giovanili verso l’obiettivo comune di condividere le conoscenze, prevenire i disturbi e facilitare l’offerta dell’aiuto necessario alle persone che ne hanno bisogno su una base di fiducia. I diversi modi di approccio, a partire dai ragazzi stessi piuttosto che da iniziative promosse dai soggetti sociali del territorio o dai professionisti, costituiscono una esemplificazione particolarmente interessante da conoscere. Anche di questo potremo riparlare in un prossimo articolo.

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