Il docente e psicologo Andrea Sales, ospite stamane in diretta su Morning News, programma di Canale 5, condotto da Simona Branchetti. Ecco cosa ne pensa l’esperto delle regole introdotte con il Decreto Caivano, presentato ieri in conferenza stampa dal presidente del consiglio, Giorgia Meloni: “Il decreto Caivano dovrebbe essere un rimedio finale ma prima dobbiamo fare un passaggio importante, evitare una situazione in cui mettiamo sotto pressione le famiglie. Servono strumenti per controllare le famiglie, e nessuno lo fa. Servono strumenti per aiutare le famiglie. Famiglie in carcere? Abbiamo carceri sovraffollati e abbiamo il problema dell’insegnante che si assume di mandare in carcere il genitore: quando l’insegnante dice che l’alunno non viene a scuola poi il genitore se la prende col docente. Il sistema dovrebbe essere preventivo e non punitivo”.



“La punizione esemplare – ha continuato Sales parlando del Decreto Caivano – ci deve essere ma prima dobbiamo lavorare per creare una cultura diversa, togliere il cellulare cosa serve? Tanto lo trovi da un amico o comunque lo trovi a 80 euro un cellulare”. Andrea Sales ha aggiunto: “E giustissimo creare la regola ma quando creiamo la strada in salita facilitiamo la furbizia, li renderà più furbi e più pronti ad infrangere la legge in maniera diversa. Noi dobbiamo partire dalla base, serve una cultura e valori differenti”.



ANDREA SALES, I GIOVANI E IL DECRETO CAIVANO: “IN CARCERE NON SI RISOLVE NIENTE”

Pietro Senaldi, vice direttore de Il Giornale, aggiunge: “Queste non sono ragazzate, sono crimini. Io non ho soluzioni, è brutto mettere in carcere minorenni e sottrarli alla sua famiglia, ma l’effetto benefico di chi vuole aiutarli come gli educatori dura pochissimo, vivono in un contesto talmente radicato. Forse se incontra un educatore tutti i giorni migliornoa”.

Sales ribatte: “Ma se va in carcere non risolviamo niente, si trova in mezzo a persone non consone e poi riceve l’etichettatura ed è uno stigma”. Il problema che si presenta ogni qual volta c’è da incarcerare un giovane è quindi sempre lo stesso: la rieducazione o la pena?