Giovanni Brusca, chi è il boss pentito oggi in libertà vigilata
La recente notizia del ritorno in libertà, dopo 25 anni, di Giovanni Brusca, destò scalpore e malcontento, soprattutto da parte dei familiari delle vittime di mafia. Brusca è l’uomo che a domanda diretta sul numero delle sue vittime rispose con un vago: “Sicuramente più di 100 ma sicuramente meno di 200”. In qualità di pentito, Brusca ha potuto godere di un importante sconto di pena permettendogli di lasciare il carcere senza mai aver goduto degli arresti domiciliari, i quali come rammenta Il Riformista, a differenza di altri pentiti nel suo caso gli furono sempre negati.
Brusca è stato tra coloro che ha agito in prima fila, al fianco di Totò Riina, nella cosiddetta “seconda guerra di mafia”. Figlio di Bernardo, capo della famiglia di San Giuseppe Jato, il più fedele alleato di Totò Riina, Brusca si rese autore, tra le altre cose, di due spietati avvenimenti: la strage di Capaci e l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo. La strage nella quale saltarono in aria Falcone, la moglie e la scorta, fu proprio Brusca ad averla organizzata, pianificata e diretta su mandato di Totò Riina. Con le autobombe aveva già una certa esperienza dopo averne utilizzata una con Nino Madonia per eliminare il magistrato Rocco Chinnici. E fu sempre lui ad azionare il telecomando che fece esplodere l’ordigno che provocò la strage di Capaci.
Dalla strage di Capaci all’omicidio Di Matteo
Fu ancora Giovanni Brusca ad ordinare lo strangolamento e lo scioglimento nell’acido del piccolo Giuseppe Di Matteo, di cui era stato padrino. Il piccolo era figlio di Santino, pentito, il quale subito dopo l’arresto iniziò a collaborare facendo i nomi dei responsabili di due attentati eccellenti, ovvero la strage di Capaci e l’omicidio di Ignazio Salvo. In entrambi i casi Brusca ebbe un ruolo saliente e per tappargli la bocca ebbe l’idea di rapire il figlio, rimasto prigioniero per 25 mesi, poi fatto strangolare e sciolto nell’acido una volta cadavere.
Nel maggio 1996 fu arrestato ma poco dopo mise da parte l’omertà per iniziare a svelare le sue verità, inizialmente condite da bugie. Entrò così in contraddizione con le dichiarazioni del fratello Enzo, anche lui diventato collaboratore dopo l’arresto e da quel momento iniziò a ritrattare ed a parlare sul serio. Proprio grazie alle informazioni preziose che ha condiviso con gli inquirenti per effetto della legge 45 del 2001, Brusca ha potuto godere di importanti sconti di pena che hanno portato alla sua scarcerazione dopo 26 anni trascorsi in cella. Per i prossimi quattro anni rimarrà in libertà vigilata e vivrà sotto protezione.