La scarcerazione di Giovanni Brusca ha riaperto una doppia ferita nell’opinione pubblica: la prima, mediatica, per un caso che continua a dividere e indignare; la seconda, nei familiari delle vittime che si sentono in alcuni casi “traditi” dallo Stato per una legge (quella sui pentiti di mafia) che ha permesso l’uscita dal carcere del pluriomicida condannato per la Strage di Capaci (giudice Giovanni Falcone con moglie e scorta) e per un altro centinaio di omicidio commessi/commissionati. Nelle ultime ore è divenuto inoltre virale una video-intervista contenuta in “Corleone”, il documentario francese di Levi Bocault presentato al Festival di Roma nel 2018.



L’intervista è di 5 anni fa ma emerge in maniera inedita ora all’opinione pubblica: Brusca chiede perdono alle vittime e ai loro familiari per il tanto «dolore provocato» e arriva a definire Cosa Nostra come un’orrenda “fabbrica di morte”. «Ho riflettuto e ho deciso di rilasciare questa intervista», spiegava 5 anni fa Giovanni brusca davanti alle telecamere di Mosco Levi Boucault, «spero solo di essere capito. Ho deciso per fare i conti con me stesso, perché è arrivato il momento di metterci la faccia, anche se non posso per motivi di sicurezza, ma è nello spirito e nell’anima di farlo. Di poter chiedere scusa, perdono, a tutti i familiari delle vittime, a cui ho creato tanto dolore e tanto dispiacere».



IL PERDONO E LA GIUSTIZIA

Facendo i primi nomi dentro Cosa Nostra e arrivando ad un accordo con lo Stato, Brusca spiega di aver voluto dare il suo contributo e provare anche a dare un minimo di spiegazione ai molti che cercano giustizia e verità: «chiedo scusa principalmente a mio figlio e a mia moglie, che per causa mia hanno sofferto e stanno pagando anche indirettamente quelle che sono state le mie scelte di vita». Ancora nel video-docu, il “boia” della mafia confessa «prima da mafioso, poi da collaboratore di giustizia, perché purtroppo nel nostro Paese chi collabora con la giustizia viene sempre denigrato, viene sempre disprezzato, quando invece credo che sia una scelta di vita importantissima, morale, giudiziaria ma soprattutto umana». Dato che la mafia consente di arrivare a livelli infimi nel mancato rispetto della vita umana, conclude Brusca, «Cosa nostra, che io chiamo una catena di morte, una fabbrica di morte, né più né meno. Un’agonia continua». Il dibattito proseguirà e molto, anche dopo queste parole inedite proferite da Brusca solo 5 anni fa: quello che è certo – come ravvisa lo splendido editoriale che ospitiamo oggi sul “Sussidiario” – è che sarà sempre più “complesso” parlare di legge e “giustizia” senza considerare tutti i limiti (umani) che le stesse ravvisano, non da oggi. «La scarcerazione di Giovanni Brusca fa discutere. Eppure nessuna pena potrà mai colmare il nostro bisogno infinito di giustizia. Falcone lo aveva capito», scrive il nostro Federico Pichetto. Un consiglio? Leggerlo dopo queste parole di Brusca per provare ad addentrarsi nel “caso” in questione senza un’eccessiva dose di pre-giudizio, in nessuna delle due ‘fazioni’ in contesa.