Giovanni Riina e la condanna all’ergastolo

Giovanni e Salvatore, detto Salvo, sono due dei quattro figli di Totò Riina, il “Capo dei Capi” di Cosa nostra scomparso nel 2017. Secondo e terzogenito, entrambi hanno avuto gravissimi problemi con la giustizia. Nel dettaglio, Giovanni Francesco, classe 1976 è stato condannato all’ergastolo per quattro omicidi avvenuti nel 1995. Giuseppe Salvatore, detto Salvo (un anno più piccolo), invece, ha trascorso in carcere 8 anni e 10 mesi dopo essere stato condannato per associazione mafiosa, per poi essere scarcerato il 29 febbraio 2008.



Giovanni fu arrestato nel giugno del 1996 e condannato alla pena del carcere a vita da una sentenza del tribunale di Palermo. Il figlio di Riina fu accusato di quattro omicidi: quello del 22enne Giuseppe Giammona, ucciso con due colpi di pistola alla testa; Giovanna Giammona e Francesco Saporito, marito e moglie uccisi sotto gli occhi dei loro due figli; e Antonio Di Caro, strangolato e sciolto nell’acido: quest’ultimo rappresentò il suo “battesimo di fuoco” per Cosa nostra.



Salvo Riina, il nuovo percorso di vita dopo il carcere

Il terzogenito di Totò Riina, Salvo, qualche anno fa fece molto parlare di sé per via di una intervista alla trasmissione Porta a Porta. Il figlio del boss dei boss in quella circostanza ricordò  i sedici anni accanto al padre latitante, la sua immagine davanti al televisore mentre venivano trasmesse le stragi di Capaci e via D’Amelio, i silenzi in una famiglia che sapeva e non parlava.

Dopo la revoca delle misure di sicurezza a cui l’uomo era sottoposto, la sua vita è totalmente cambiata, come spiegato dal suo avvocato Fabiana Gubitosi e riportato da BlogSicilia.it: “ha intrapreso un nuovo percorso di vita. Si è adoperato molto per la comunità impegnandosi quotidianamente e ricevendo appoggio da don Silvio che ha espresso un giudizio positivo sul suo operato”, ha spiegato il legale riferendosi alla sua permanenza presso la Casa Lavoro di Vasto dove il figlio di Riina aveva conosciuto don Silvio Santovito, parroco di Casalbordino, e la realtà della fattoria Vita Felice. In merito Salvo aveva usato Facebook per dare risalto alle iniziative della Fattoria sociale ed alle sue attività: “Il suo comportamento si è rivelato ottimo e il suo percorso è stato importante per la concessione della libertà. Il giudice ha fatto una scelta di coraggio e lo ringraziamo. Poche volte il magistrato tutela fino in fondo i diritti della persona”, aveva aggiunto il suo avvocato.