Nella seconda serata televisiva di oggi andrà in onda, su Rai 1, la terza puntata del programma “Cose Nostre” dedicata a Giovanni Falcone e al misterioso “giallo” del cosiddetto “Corvo di Palermo“. Terzo protagonista della storia un sicario pentito, Salvatore Contorno, secondo la particolare accusa del Corvo assoldato dal giudice antimafia per compiere una serie di omicidi, di fatto “di stato”.



Il ruolo di Giovanni nella lotta contro Cosa Nostra e le mafie

Com’è ben noto, la figura di Giovanni Falcone è associata nell’ideale comune alla lotta contro la mafia, che è stata al centro di tutta la sua complicata carriera da giudice, ed alla quale ha letteralmente consacrato la sua vita. Magistrato italiano di origine palermitana, fu il primo a comprendere che Cosa Nostra aveva una rigorosa struttura organizzativa, che grazie alle sue indagini è riuscito a sgominare dall’interno in quello passato alla storia come Maxiprocesso, il suo vero e proprio capolavoro.



Giovanni Falcone, però, divenne presto un uomo scomodo, attirando le attenzioni (e l’odio) delle cosche mafiose, che nel 1992 piazzarono un ordigno sull’autostrada A29, facendo esplodere l’auto sulla quale il giudice viaggiava, evento divenuto tristemente noto come Strage di Capaci.

Giovanni Falcone, il Corvo di Palermo e le sue accuse. La reazione del magistrato esempio per tutti

Per il giudice Giovanni Falcone, insomma, la magistratura non è stato un periodo semplice e privo di problemi, ma particolarmente impegnativo fu il 1989, quando venne preso di mira da quello che sarà definito da lì a poco il “Corvo di Palermo“. Una storia complessa, che parte dalla liberazione di un pentito di Cosa Nostra, Salvatore Contorno, che viene arrestato per la seconda volta in Sicilia, nel mezzo di una guerra tra mafie.



Pochi giorni dopo l’arresto di Contorno cinque lettere anonime accusarono Giovanni Falcone di aver avallato il rientro del pentito, che prima dell’89 si trovava in America, al fine di commettere una serie di reati che avrebbero dovuto portare il magistrato a stanare Totò Riina. Secondo l’autore delle lettere, si tratta di “omicidi di Stato“, commissionati dal giudice antimafia. Accuse pesanti che colpirono in pieno Giovanni Falcone, che tuttavia non si scompose e continuò, da un lato, la sua lotta, mentre dall’altro cercava il Corvo di Palermo, autore delle lettere. Si trattava di informazioni riservate, note a 4 o 5 uomini vicini al magistrato, e il cappio venne pian piano stretto attorno ad Alberto Di Pisa, sostituto procuratore della repubblica. Negò tutte le accuse, pur sottolineando di condividere i messaggi contenuti nelle lettere, venne condannato in primo grado ed assolto in secondo.