Sulle colonne dell’Huffington Post è intervenuto, nell’ambito di un’intervista, Giovanni Maria Flick, giurista, politico e accademico italiano, ministro di Grazia e Giustizia del Governo Prodi I ed ex presidente della Corte costituzionale. Al centro del dialogo con il costituzionalista la vicenda relativa ai “furbetti del bonus”, ossia i parlamentari che hanno incassato i 600 euro senza necessitarne veramente. “Anzitutto, non vedo alcun profilo di responsabilità penale per i beneficiari o i semplici richiedenti, poiché la domanda per usufruirne non era condizionata alla presentazione di documenti, attestazioni, autocertificazioni – ha dichiarato Flick –. Non c’erano requisiti per fruirne: era una classica erogazione a pioggia”. Più che altro, a suo dire, “c’è un profilo di responsabilità etica che pone un problema politico. È fondamentale distinguere tra la responsabilità penale (che deriva dalla commissione di un reato) e la responsabilità disciplinare (che nasce da una mancanza per cui il legislatore ha previsto una sanzione minore di quella per il reato). La responsabilità disciplinare non si applica a tutti ma solo a certe categorie, per esempio i magistrati. Alla base però deve esserci comunque una legge che regola la fattispecie e le relative sanzioni”.
GIOVANNI MARIA FLICK: “LA COLPA È DELLA POLITICA”
Nel prosieguo della chiacchierata pubblicata sull’Huffington Post, a Giovanni Maria Flick viene domandato come si concluderà questa vicenda: “Dipende da come la si guarda. La vera responsabilità è quella del legislatore, che ha varato un sussidio a pioggia. Non c’è niente di peggio che trattare in modo uguale situazioni diverse”. E ancora: “Il ministro Gualtieri e tutto il Governo risponderebbero che bisognava fare in fretta senza rischiare di lasciare indietro qualcuno in difficoltà. La fretta è la peggiore consigliera. La prima responsabilità in questa storia è la cattiva scelta politica che ha dilapidato senza cautela denaro pubblico destinato a chi ne avesse bisogno. Vedo una grossa istigazione alla diseguaglianza”. Un riferimento, poi, al comportamento tenuto dall’Inps: “Se i percettori hanno reso false dichiarazioni o certificazioni, si apre per loro un profilo di responsabilità penale, magari di truffa, se concorrono gli altri requisiti. Ma in caso contrario, bisogna chiedersi se l’Inps ha diritto di fare altri controlli e di che tipo. In teoria, la schedatura in modo anonimo dei percettori non viola il segreto d’ufficio. Vedo piuttosto un uso indebito nei confronti di alcuni soggetti, che mette in evidenza una discriminazione. In sostanza, l’Inps non può ricorrere a strumentalizzazioni: se decide di rendere pubblici i dati deve farlo con criteri di imparzialità”.