Alessandra Matteuzzi, la donna vittima di femminicidio per mano dell’ex fidanzato Giovanni Padovani la sera del 23 agosto 2022 a Bologna, non è stata uccisa per un attacco di gelosia. Come ricostruito dai giudici della Corte d’Assise di Bologna, sarebbe stato un forte desiderio di vendetta a spingere l’ex calciatore nella decisione di togliere la vita alla donna. Nelle motivazioni della condanna all’ergastolo per il 28enne si legge: “È improprio attribuire l’omicidio a una insana gelosia dell’imputato, la quale, semmai, costituì il movente del delitto di atti persecutori, mentre l’omicidio fu motivato da un irresistibile desiderio di vendetta, uno tra i sentimenti più irragionevoli, eppure imperativi”.
Più che di un “delitto d’amore”, per i giudici si tratta di un “delitto d’onore“. Padovani, dunque, non avrebbe agito in preda a un raptus omicida. Il suo fu agguato preparato a tavolino: “Dalle testimonianze raccolte emerge la prova dell’ideazione da parte dell’imputato di un proposito vendicativo, manifestato fin da giugno e nel luglio 2022 con estrema lucidità, come si può cogliere dal richiamo consapevole alle conseguenze di tale gesto ovvero alla possibilità di andare in carcere“.
“Padovani ha aspettato la vittima sotto casa. Agguato preparato”
Come scrivono i giudici della Corte d’Assise di Bologna, “Padovani l’ha aspettata sotto casa. Si è trattato di un vero e proprio agguato preparato nelle sue linee essenziali di azione. La condotta omicidiaria non è stata determinata da un mero moto d’impeto, ma è maturata e si è progressivamente radicata negli intenti dell’uomo, tanto da essere preannunciata nelle confidenze fatte a terzi e alla madre nelle annotazioni sul cellulare, e poi attuata secondo un piano predeterminato, comprensivo della scelta dell’arma da usare e del luogo in cui colpire”.
Inoltre “durante il processo è emerso il carattere ossessivo-maniacale delle forme di controllo che l’imputato attuava nei confronti della compagna e come fosse stato spinto da una forza irresistibile, ingenerata da un sentimento di rancore e da un senso di frustrazione, a ritornare a Bologna per assassinarla”.