Il caso è chiuso, ma non mancano punti oscuri nell’omicidio Giusy Potenza, per il quale è stato condannato Giovanni Potenza a 30 anni di carcere. Il nonno della ragazza nei mesi scorsi ha fatto sapere, tramite il suo regale, di essere disponibile a perdonare l’assassino solo se questi rivelasse chi sono i suoi presunti complici. Ma chi è colui che è stato ritenuto colpevole di aver ucciso la 14enne a Manfredonia, al centro della nuova puntata di “Detectives – Casi risolti e irrisolti” su Rai 3?



Si tratta del cugino del padre con cui la vittima aveva una relazione e che chiamava “zio”. Fu fermato un mese dopo il ritrovamento del cadavere e rivelò di avere da tempo una relazione con la ragazza, in gran segreto, e che il giorno dell’omicidio si erano appartati in campagna.

OMICIDIO GIUSY POTENZA, LA VERSIONE DI GIOVANNI POTENZA

La ragazza gli avrebbe chiesto di lasciare la meglio e, dopo il suo rifiuto, sarebbe uscita dal veicolo cadendo dalla scogliera. In base alla versione di Giovanni Potenza, avrebbe provato a rianimarla, ma la ragazza avrebbe continuato a minacciarlo di raccontare tutto, allora l’avrebbe colpita con una pietra uccidendola.



Il racconto dell’uomo non convinse tutti, in particolare la famiglia, che non credeva alla versione della relazione clandestina, mentre l’ipotesi della caduta venne esclusa dagli accertamenti a cui fu sottoposto il cadavere. Invece, per l’avvocato Innocenza Starace, che assiste la famiglia di Giusy Potenza, questa sarebbe stata uccisa in un tentativo di stupro.

IL CASO DELLA RICHIESTA DI PERDONO

Quasi vent’anni dopo il delitto, dal carcere di Lucera dove sta scontando la condanna definitiva a 30 anni, Giovanni Potenza ha chiesto perdono alla famiglia di Giusy Potenza, sua cugina di secondo grado. Ne diede notizia proprio il legale Starace, spiegando che però sarebbe possibile solo rivelando tutti i dettagli del delitto, visto che anche se il caso è stato chiuso con una condanna, ci sono molti elementi ancora da chiarire, come il possibile coinvolgimento di complici.



Peraltro, l’avvocato nei mesi scorsi ha fatto notare che in realtà non c’è stato alcun cenno concreto di resipiscenza da parte dell’assassino: non ha mai mandato le sue scuse con una lettera alle parti civili, non ha mai ammesso la sua responsabilità, visto che dichiarò che non fu omicidio, “ma una disgrazia“, negando ogni addebito durante il processo.