La crisi pandemica che stiamo vivendo da oltre un anno a livello “macro” sta mettendo a dura prova le èlite politiche e la tenuta economica dei Paesi colpiti, ma altrettanta attenzione dobbiamo porre anche all’aspetto “micro”, quello della realtà dei singoli individui nelle loro diverse fasce d’età, quello dell’interazione sociale.
La pandemia da Covid-19 ha avuto in Italia lo stesso effetto di un virus su di un organismo debole e malconcio, ha fatto emergere tutte le numerose inefficienze, mancanze e disorganizzazione del cosiddetto “sistema Paese”. A partire dalla principale di tutte, quella non essere dotati di un piano pandemico aggiornato, con annessa mancanza degli adeguati presidi sanitari, per arrivare all’attualità che ci vede in enormi difficoltà con l’organizzazione delle vaccinazioni.
Un Paese perennemente aggrappato all’eroismo ora di taluni professionisti o volontari, ora di altri, nella fattispecie del comparto di medici, infermieri e del personale sanitario che da troppo tempo sopporta tensioni e turni di lavoro massacranti, senza che vengano loro riconosciuti adeguamenti di stipendio, né incremento di personale. E quando per riuscire in qualcosa c’è bisogno sempre dell’eroismo di qualcuno significa che si è un Paese alla deriva, perché irrimediabilmente inefficiente e disorganizzato nelle sue articolazioni pubbliche.
Regioni e Stato centrale hanno mostrato limiti, incapacità e inefficienze che sono ormai tragicamente evidenti a tutti, mentre il già preoccupante macigno del debito pubblico pre-Covid, di scostamento di bilancio in scostamento di bilancio, ora sta raggiungendo e superando livelli oltremodo preoccupanti.
Ma se l’incapacità della nostra classe politica centrale e periferica è ormai assodata, quello che risulta inaccettabile è quanto è stato fatto alla generazione dei più giovani, per intenderci, a bambini, ragazzi e adolescenti. Sarà che l’argomento mi trova particolarmente sensibile essendo padre di due bambini in età scolare da scuole elementari, ma quanto deciso e fatto pagare sulla pelle dei più giovani non può essere taciuto.
Troppo spesso a livello mediatico parlando dei ragazzi e dei giovani si procede solo con critiche bacchettone e superficiali, ma si sottolinea poco quanto a questa giovane generazione è stato tolto. Non parlo di “cose” o elementi materiali, ma di qualcosa di più profondo e formativo, tipico solo di quest’età tumultuosa, unica, speciale e un poco magica.
Personalmente ho avuto modo di osservare il comportamento dei più giovani in questo periodo di pandemia e, alla luce del fatto che obbligarli alla mascherina, al distanziamento sociale e all’interruzione delle attività sportive è per loro già motivo di grosso sacrificio, ebbene, posso testimoniare che la stragrande maggioranza di loro si è comportato davvero egregiamente.
Privare i ragazzi del contatto fisico, della socialità, della condivisione delle esperienze e degli spazi, è qualcosa di innaturale, fuori luogo per quell’età dove il proprio ruolo nel mondo e la propria personalità si forma nel gruppo, nell’interazione delle dinamiche di gruppo.
Già mi aspetto l’obiezione: ciò è dovuto solo alla pandemia in corso. Dissento: a mio avviso non è solo per questo. Solo se alla crisi pandemica aggiungiamo l’atavica incapacità della burocrazia e più in generale del comparto pubblico del nostro Paese a fornire servizi ed essere di pubblica utilità, unito a un crescente humus popolare di malcelato fastidio verso i giovani, abbiamo la misura dell’enorme danno che si sta recando loro.
Nulla di più drammaticamente scontato in un Paese che da decenni viaggia a tassi di natalità vicini allo zero, ma che al contempo sconta una crisi cronica di presenza di asili nido e micro-nido sul territorio e, laddove ci sono, risultano costosissimi, inducendo i genitori a compensare con i sempreverdi nonni per toppare le falle della mancanza di una “politica della famiglia”, sempre sbandierata dai partiti ma mai concretizzata.
Non basta neppure evidenziare quanti giovani italiani diplomati e laureati fuggono ogni anno da questo Paese, delusi e umiliati dalla mancanza di prospettive di lavoro e di uno stipendio decente, per poi essere accolti a braccia aperte dal mondo produttivo del centro-nord Europa, felici di cotanto regalo.
Non da ultimo si segnala il triste primato del basso livello di alfabetizzazione e scolarizzazione in Italia rispetto al resto dei Paesi occidentali, che la pandemia ha accentuato con l’accrescimento della dispersione scolastica.
Tutte le tare, le pecche, i problemi già evidenti per la mancanza di politiche sociali per la famiglia e per i giovani, la pandemia li ha solo acuiti, resi più manifesti anche agli occhi di coloro che non volevano o facevano finta di non vedere.
Non bastasse quanto detto, a questi giovani ora gli si sta rubando qualcosa di unico e irripetibile: il tempo della loro gioventù. Senza la socialità del gruppo che si manifesta nell’ambito scolastico, in quello sportivo e in quello del tempo libero, questi giovani sono come animali in gabbia, oltremodo obbligati a relazioni interpersonali “social” e non sociali, che impoveriscono un momento di crescita unico e importante del loro divenire uomini, come l’adolescenza.
Il peso della tardiva e lenta campagna di vaccinazione a tutela delle fasce di maggiore fragilità sociale, quali anziani e persone con debolezze fisiche, la stanno pagando soprattutto i giovani, ai quali stiamo rubando il tempo di quest’età magica.
Questo è l’ultimo tassello della distruzione sociale di questo Paese, arrivato persino a umiliare coloro che dovrebbero costituire il futuro dell’Italia, e che invece si vedono negare ciò che c’è di più magico nella vita, la propria giovinezza.
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