Anche Riccardi ha annunciato la sua adesione alla manifestazione “Una piazza per l’Europa” indetta per oggi da Michele Serra su Repubblica. Lo ha fatto nell’immediata vigilia, assieme ad altri due leader iconici della sinistra italiana politicamente corretta: Fabio Fazio (oggi star dell’americana WarnerBrosDiscovery) e la senatrice a vita Liliana Segre, vessillifera di ogni lotta all’odio antisemita e antisionista.
Riccardi appare certamente la voce del laicato cattolico nazionale più importante fra quelle che hanno detto sì al “manifesto Serra”, peraltro da dieci giorni fattore prevalente di destabilizzazione politico-culturale. E la sua uscita allo scoperto non sembra poter fare eccezione nel clima vivace ma spesso confuso e polemico dell’ennesimo “girotondo” chiamato dalla sinistra mediatica.
Lo storico della Sapienza è stato ministro della Cooperazione internazionale nel governo di Mario Monti, un esecutivo “commissariale” imposto dall’Europa franco-tedesca di concerto con gli Usa di Barack Obama a cavallo della “operazione militare speciale” della Nato in Libia.
Lo spread sul debito italiano fu usato come un’arma per un fine politico: rimuovere dalla guida del Paese Silvio Berlusconi, vincitore dell’ultimo voto democratico nazionale. L’agente del primo di una serie di “ribaltoni” nella tarda “seconda repubblica” fu Giorgio Napolitano.
Lo strumento fu l’austerity decisa a Bruxelles e co-firmata da Mario Draghi, presidente designato della Bce. L’esito politico fu la nascita di un partito “para-cattolico” – Scelta civica – che aveva in quell’“europeismo” uno dei suoi valori fondanti, ma perse la scommessa elettorale del 2013, che nel successivo quinquennio Letta-Renzi-Gentiloni poté governare solo grazie al soccorso parlamentare (interessato) di Berlusconi.
Il patto del Nazareno è stato un passaggio fondativo: da lì è nata anche la presidenza di Sergio Mattarella e quindi la sua riconferma, in attesa della quale lo stesso Riccardi fu lanciato per un attimo come “piano B”.
Alcuni interrogativi sorgono dunque spontanei. L’Europa per cui la sinistra e alcuni cattolici scendono in piazza oggi è quella del 2011? Quella dell’interferenza e del cordone sanitario contro l’“uomo nero” del momento? L’Europa della riforma draconiana delle pensioni italiane che in Francia il presidente Emmanuel Macron non è riuscito a varare nei successivi 14 anni? L’Europa della Nato che lincia il colonnello Gheddafi e desertifica la sponda nordafricana dirimpetto all’Italia in terra di milizie al soldo russo, turco, eccetera? Che vi lascia costruire i moli i per i trafficanti di esseri umani?
Che visione hanno oggi quella sinistra e alcuni cattolici della crisi geopolitica sul fronte russo-ucraino? Sono favorevoli o contrari ai tentativi di Donald Trump di far cessare il fuoco al più presto?
Chi potrebbe uscire con le ossa rotte dal girotondo europeo di oggi è la leader del Pd, Elly Schlein, a lungo accusata – non senza ragioni – di essere priva di linea su tutto. Paradosso però vuole che fra tutti quelli che marceranno oggi, Schlein sia forse l’unica ad aver sostenuto fin dall’inizio una linea chiara sull’Europa di ReArm (forse più ancora che nella stessa maggioranza di governo).
Molti altri – soprattutto dopo il “para-voto” del Parlamento europeo su ReArm – sembrano invece girare freneticamente in tondo attorno a un tavolino di carte coperte, quando non mischiate alla bisogna o addirittura truccate. Con un apparente fine immediato: promuovere un “ribaltone interno” al Pd e abbattere una segretaria che forse sta scontando anche il passaporto Usa e le radici familiari israelite.
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