Consiglio: “Anime sfortunate
l’altiere voci alzate.
Che vi è toccato in sorte?”
Anime dannate: “Eterna, eterna morte
Ahi! Ci è toccata in sorte:
morte, che mai non more
sepolta nel dolore.
Aspra, penosa e forte
eterna, eterna morte”.
Intelletto: “Alme beate e belle,
lassù sopra le stelle
qual cosa è più gradita?”
Anime beate: “Eterna, eterna vita:
vita che vive e regna,
dolce, celeste e degna,
sempre, sempre gradita”.
Era appena iniziato il Giubileo del 1600 e a Roma, nell’Oratorio di Santa Maria della Vallicella (la chiesa di san Filippo Neri, morto cinque anni prima), andava in scena la prima opera sacra della storia della musica: la “Rappresentazione di anima e di corpo”, parole del padre oratoriano Agostino Manni, musica di Emilio de’ Cavalieri. Al terzo atto si spalancavano due finestre sull’aldilà e interveniva un coro di anime dannate ed uno di anime beate che riferivano ciascuno sulla propria condizione nell’oltretomba. Il pubblico veniva insomma accoratamente informato che quel che accade dopo la morte dipende se si è profittato oppure no delle indicazioni terrene per la retta vita. Tutt’altra musica dal rinascimentale “chi vuol essere lieto, sia, di doman non c’è certezza”! E sul proscenio venivano anche esibite immagini di volti di dannati e di salvati, l’invisibile anima acquistava una parvenza facciale tramite le incisioni di Pieter de Jode, che avranno subito larga circolazione. L’opera, diventata popolarissima al tempo, mirava a favorire il “meditar cantando” sulle realtà ultime, i cosiddetti Quattuor novissima (morte, giudizio, inferno, paradiso), fulcro di una spiritualità escatologica che proiettava la visione del futuro nel tempo odierno affinché, per attrazione o repulsione, ci si potesse ravvedere prima di morire.
Un potente fervore religioso s’era impadronito di quel tempo, a corruzione e licenziosità della Curia papale s’era posto un freno, il Concilio di Trento aveva emanato nuove direttive dottrinali e pastorali e soprattutto erano sorti nel popolo nuovi movimenti religiosi per opera di santi del calibro di Ignazio, Filippo, Camillo de’ Lellis, Felice da Cantalice; tutto aveva contribuito a generare una temperie cultural-religiosa a forte intensità anche emozionale cui pure l’arte visiva portò il suo contributo, col barocco che pose davanti agli occhi del pubblico meraviglia e spavento, rigoglio e raccapriccio, stupore e tremore. In tutto questo si ritrovò immerso Giovan Lorenzo Bernini.
È avendo presente questa ampia premessa che si possono cogliere le profonde risonanze e le molteplici letture proposte dalla mostra appena inaugurata nei Musei Vaticani di due opere note ma di difficile visibilità pubblica (giacché residenti nell’Ambasciata di Spagna presso la Santa Sede), di Bernini, il gran regista del barocco: Anima beata e Anima dannata.
Due piccoli capolavori giovanili realizzati nel 1619 quando l’artista aveva appena 21 anni, che esprimono attraverso i volti scolpiti nel marmo due opposte condizioni dello spirito, due sentimenti interiori: la donna dal volto estatico, in contemplazione verso l’alto della Grazia celeste, è l’anima approdata, o sulla via della salvezza eterna, l’uomo col viso deformato da un ghigno di angoscia e di orrore rivolto al basso è l’anima posta di fronte alla prospettiva, o alla realtà, della dannazione eterna. Nel busto femminile si ammira, in particolare nel serto di roselline posto sul capo, la maestria scultorea del genio del barocco, nel busto maschile alcuni critici hanno intravisto un accenno di autoritratto del Bernini stesso.
Opere di non grande mole, commissionate da un alto prelato spagnolo e destinate alla devozione privata, in cui si condensa l’atmosfera cultural religiosa del secolo XVII da poco iniziato. La mostra, curata da Barbara Jatta, direttore dei Musei Vaticani, e dalla professoressa Helena Pérez Gallardo, è allestita negli spazi della Pinacoteca vaticana (sala XVII) e inaugura gli eventi culturali dei Musei dedicati al Giubileo 2025.
L’Anima beata e l’Anima dannata di Bernini sono esempio mirabile di un fecondo incontro tra arte e fede avvenuto quattro secoli fa, tuttora fonte di meraviglia e di meditazione.
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