La notte che abbiamo lasciato alle spalle non è come tutte le altre. Ѐ la notte in cui la barriera del firmamento che divideva, nel cosmo antico, il cielo della perfezione divina dalla terra del divenire perenne è stata definitivamente oltrepassata, una volta per tutte. Il Verbo si è fatto carne e ha cominciato la sua corsa sulla scena del mondo.



Il Verbo era la proiezione filiale del mistero sorgivo dell’essere, che così si è reso decifrabile in forme sensibili. Ha rivelato il suo volto, portandolo alla massima trasparenza eloquente. L’incontro nuziale tra l’infinito di Dio e la tenerezza infantile di un fragile corpicino stretto nell’abbraccio di una madre commossa ha ricreato il legame spezzato tra i due poli estremi della creatura e del suo Creatore. Diventava veramente possibile, d’ora in poi, convergere nell’unità di un medesimo respiro?



Molto più avanti negli anni, il figlio del carpentiere Giuseppe e della sua giovane sposa Maria si sarebbe lanciato nell’ardita missione di aprire la strada alla nuova fede per il popolo d’Israele: “Lo Spirito del Signore è sopra di me. Per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio… a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore… Oggi si è compiuta questa scrittura che voi avete ascoltato” (Luca 4, 18-21).

Tra le mura anguste della sinagoga di Nazaret in questo modo si spalancava all’universo intero il significato di ciò che era stato raccolto come semplice promessa nel miracolo della notte di Betlemme. Si era aperto un tempo radicalmente nuovo, dentro il flusso del tempo che corre ostinato incontro al destino. Ma questo germe di vita redenta dalle sue fondamenta, restituita alla pienezza del suo ordine e del suo senso ultimo, restava un dono esposto alle oscillazioni volubili della libertà umana. La libertà umana lo può anche misconoscere. Lo può rifiutare e lasciarlo miseramente cadere.



Per questo il cristianesimo fin dalle origini ha saputo guardare in faccia al bisogno di spaccare la crosta dell’ostilità. Non ha temuto di sembrare troppo remissivo spianando la larga strada dell’accesso a un perdono continuamente recuperabile. Si poteva sempre rientrare nello spazio avvolgente dell’amore che travalica ogni misura e ogni pretesa di millimetrica corrispondenza dalla parte di coloro su cui si allarga il suo raggio di potente attrazione. Solo in un simile modo si poteva consentire al primato della misericordia di Dio di riaffermare la sua umile tenacia vittoriosa, entrando in tensione con ogni “no” innalzato dalla volontà di ribellione dell’uomo presuntuoso e smemorato.

Per lo stesso motivo nel corso dei secoli le vie dell’approdo al tesoro di grazie generato dal sacrificio di Cristo sulla croce, dai meriti della Vergine, dei martiri e dei santi, si sono dilatate in termini che, dopo il Mille, trovarono sbocco nel sistema progressivamente ingigantito delle indulgenze. E proprio per farle rifluire come pioggia incessante di bene sull’umanità in cammino prese vita, a partire dai primi mesi del 1300, la tradizione del Giubileo cristiano.

Ѐ perciò altamente significativo che in questa stessa notte del Natale, da allora si sia presto installata la consuetudine di far iniziare ogni Anno Santo con l’apertura di una porta che rimane sigillata nel corso del tempo ordinario, ma durante i mesi del Giubileo diventa il varco obbligato per cui transitare quando ci si introduce nel luogo sacro dell’incontro con il Signore che si rende presente.

La Porta è il segno di Cristo che si pone al centro della vita da vivere: lui è la via maestra, la realtà nella quale inoltrarsi per muovere almeno un timido passo verso la pienezza del compimento che possiamo attendere come culmine del nostro ricercare senza sosta. Del nostro cercare e del nostro domandare. Del nostro desiderare niente di meno che una risposta totale, eterna, senza confini. “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e troverà (il suo) pascolo” (Giovanni 10, 9).

Un rito arcaico si è rinnovato ancora una volta sotto i nostri occhi di consumatori frenetici di immagini. Ma la logica profonda a cui rimanda rimane stabile lungo il concatenarsi dei secoli.

Il Figlio divino che si affaccia sul giardino affollato del mondo stende le sue braccia verso ognuno di noi. Da una povera mangiatoia di pastori si consegna come l’amico per eccellenza a cui legarsi per riemergere da ogni buio, anche dalla più nera prigione delle ferite che fanno sanguinare, dalla tomba del limite di ogni vita sottratta al gusto autentico del vivere. Si può tornare a mendicare un perdono che ci ridoni integralmente la vita.

Questo è il cuore dell’esperienza in cui siamo invitati a immergerci per l’intera durata dell’anno di grazia speciale inaugurato nel giorno di un Natale diverso dal solito santo Natale.

Alla storia e al significato per noi oggi della tradizione del Giubileo è dedicato il dossier dell’ultimo numero della rivista Lineatempo (dicembre 2024). La mostra sul medesimo tema allestita nell’ambito del Meeting di Rimini 2024 è visitabile a Milano presso la Parrocchia di S. Maria del Rosario fino al 6 gennaio.

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