“Dobbiamo tenere accesa la fiaccola della speranza che ci è stata donata, e fare di tutto perché ognuno riacquisti la forza e la certezza di guardare al futuro con animo aperto, cuore fiducioso e mente lungimirante. Il prossimo Giubileo potrà favorire molto la ricomposizione di un clima di speranza e di fiducia, come segno di una rinnovata rinascita di cui tutti sentiamo l’urgenza”. Così scriveva il Papa nella Lettera dell’11 febbraio 2022 nella quale annunciava il Giubileo che si aprirà nella prossima notte di Natale. Il Santo Padre parla dell’urgenza di una rinnovata rinascita. Già nel Vangelo abbiamo traccia di questo impeto umano sempre presente.



Lo troviamo nella provocazione che Gesù lancia a Nicodemo: “‘In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio’. Gli disse Nicodemo: ‘Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?'” (Gv 3, 3-4). Il procedere inesorabile delle vicende, il succedersi dei fatti, il complicarsi dei rapporti, l’irrigidirsi delle posizioni… potrebbero insinuare il sospetto che nulla, in verità, possa realmente cambiare e che, una volta invecchiati nelle nostre meschinità, tutto sia perduto. Spinti da questo sospetto si può arrivare persino a situazioni simili a quella che fece dire a Paolo: “Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!” (Gal 5,15).



Il Giubileo arriva come una coraggiosa mano che preme il pulsante di blocco del tapis roulant, costringendoci a ridecidere la direzione della vita. Ma come? Quello del Giubileo è un evento antico, con i suoi riti e le sue proposte sviluppatisi negli anni, ma con una grande e indiscussa protagonista: la misericordia. Solo riconoscendo la nostra distrazione, il nostro male, il nostro bisogno, potremo cogliere la portata di un anno tutto da vivere domandando, certi del fatto che “se siamo infedeli, lui rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso” (2Tm 2,13). La nostra speranza è racchiusa proprio in questa fedeltà di Dio a se stesso.



C’è un uomo, alla cui tomba in tanti torneremo lungo l’Anno giubilare, che più di tutti ha sperimentato sulla propria pelle che cosa è in grado di generare la misericordia: Pietro. Scrive don Giussani: “Pietro era un uomo di quaranta o cinquant’anni, con famiglia e figli, eppure così bambino di fronte al mistero di quel compagno incontrato per caso! Immaginiamoci come si sarà sentito trapassare da quello sguardo che lo conosceva in ogni sua parte. ‘Ti chiamerai Cefa’: il suo caratteraccio era identificato con quella parola, ‘pietra’, e l’ultimo pensiero era per lui immaginare che cosa il mistero di Dio e il mistero di quell’Uomo – Figlio di Dio – avrebbero fatto con quella pietra, di quella pietra” (Luigi Giussani, Stefano Alberto, Javier Prades, Generare tracce nella storia del mondo, Rizzoli editore).

La sfida rimane la stessa anche per noi: restare sulle cattedre che ci siamo costruiti discutendo la vita degli altri, o vivere ogni istante mendicando una Presenza come quella che hanno incontrato gli apostoli. Servirà molta pazienza, grande umiltà, vero stupore per intercettare il volto di Cristo che domanda ancora il nostro cuore. Questo permetterà la rinascita di cui abbiamo bisogno e che lo Spirito Santo rende possibile ogni volta che diciamo il nostro “sì”, pur dentro tutte le nostre “vecchiaie”.

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