I giudici anche quando sbagliano difficilmente “pagano” i propri errori: potremmo riassumerla così, in estrema e sicuramente parziale sintesi l’inchiesta giornalistica del Corriere della Sera firmata Milena Gabanelli e Virginia Piccolillo sulla crisi della giustizia in Italia. Mentre la Ministra Cartabia si appresta a formulare la maxi riforma collegata al PNRR e mentre il Csm naviga in acque assai agitate (tra lo scandalo Palamara e la presunta Loggia “Ungheria”), un problema annoso come gli errori giudiziari ancora viene ripetuto costantemente sia con imputati “famosi” che semplici cittadini.



«Chi sbaglia, ora, paga? I magistrati che commettono reati affrontano i tre gradi di giudizio, come tutti i cittadini. Ma nel frattempo è il Consiglio superiore della magistratura a decidere se trasferirli, sospenderli, radiarli, o lasciarli al loro posto fino a sentenza definitiva», scrive il CorSera presentando la lunga inchiesta sul mondo della giustizia in Italia. Secondo la legge Castelli, è concesso al ministro della Giustizia e al Procuratore generale della Cassazione un anno di tempo dalla notizia del fatto/errore/reato per promuovere l’azione disciplinare; poi serve un altro anno al Pg per le richieste e un altro ancora alla sezione disciplinare per pronunciarsi. «In più, tra ricorsi e contro-ricorsi, in Cassazione, il meccanismo si inceppa e intanto la toga infangata resta indosso», spiegano ancora Gabanelli e Piccolillo.



CRISI MAGISTRATURA, COSA SUCCEDE QUANDO È IL GIUDICE A SBAGLIARE

Altro punto nodale, la sospensione da ogni funzione nella magistratura e dello stipendio è obbligatoria solo in caso di arresto del giudice: del tutto facoltativa se invece il medesimo è sotto procedimento penale. Nota a parte, ai magistrati del Tar e Consiglio di Stato invece la legge Castelli non si applica: dirimente il caso raccontato dal Corriere della Sera sul presidente del Tar di Bologna Andrea Migliozzi, «non viene sospeso, malgrado sia indagato, in quanto il suo nome compare nella condanna per sentenze pilotate del consigliere di Stato Nicola Russo, come presunto responsabile di concorso negli stessi reati. E infatti continua a fare il giudice amministrativo». Quando poi le sentenze disciplinari arrivano ad essere pubblicate, non è possibile leggerle dato che gli omissis per la privacy oscurano nomi e luoghi: «Al magistrato sono richieste “imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo, equilibrio, e rispetto della dignità”. Ma spesso si chiude un occhio». Le riforme richieste dal Quirinale e dal Ministero della Giustizia si auspicano siano rapide ma al momento lo stato attuale dice il contrario: «Il Csm e i titolari dell’azione disciplinare non offrono sempre una risposta veloce ed adeguata, ed è un errore grave, perché contribuendo alla perdita di credibilità della magistratura aiutano chi “lavora” per ridurne l’ autonomia e l’ indipendenza. Oltre ad essere un danno per i tanti magistrati integerrimi e uno sfregio per quanti sono morti onorando la toga», concludono Piccolillo e Gabanelli.

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