È complesso e dai contorni “mediatici” come sempre molto insidiosi il caso di un’adozione di una coppia gay in arrivo da Milano: un giudice del Tribunale ha ordinato al Comune milanese di riconoscere l’atto di nascita di un bambino nato negli Usa grazie alla maternità surrogata (‘utero in affitto” il termine molto più brutale ma che ben fa capire i termini della questione, ndr).
Nel recente passato, infatti, il Comune amministrato dal sindaco Giuseppe Sala aveva dichiarato illegittimo il riconoscimento del bimbo come figlio alla nascita di entrambi i padri, un milanese e un americano. L’ulteriore ricorso aveva portato in sede giudiziaria la contesa, con ora la sentenza basata su un precedente caso simile già affrontato dalla Corte Costituzionale. «Nostro figlio è nato durante la pandemia: senza la trascrizione non poteva avere subito la cittadinanza italiana e quindi neppure i documenti che gli avrebbero permesso di tornare in Italia quando i viaggi internazionali erano sospesi», spiega al “Corriere della Sera” il papà italiano, «Mio marito è dovuto tornare in Italia per lavoro poche settimane dopo la nascita del bimbo e noi due siamo rimasti bloccati da soli negli Stati Uniti per cinque mesi nei momenti peggiori della pandemia, finché non abbiamo avuto la stepchild adoption (adozione del figlio del proprio coniuge o compagno unito civilmente, ndr). È stato molto difficile». Il caso inevitabilmente riapre lo “squarcio” già esistente in tema di tutela dei bimbi: qual è il bene del piccolo? Questa la domanda che dovrebbe imperare, al di là di come la si possa pensare su entrambi i fronti della “contesa”.
COSA DICE IL GIUDICE SULLA “STEPCHILD ADOPTION”
Questo però, quando si legge la cronaca dei fatti avvenuti sul “caso” di Milano, non sempre appare seguito alla lettera. A partire dal 2020, dopo una sentenza della Corte di Cassazione a sezioni unite che indicava «l’adozione in casi speciali» come «via privilegiata per il riconoscimento dei figli di gay e lesbiche», il Comune di Milano aveva smesso con il riconoscimento alla nascita. La stepchild adoption non avviene come la normale adozione: come giustamente spiega il “CorSera”, «deve essere fatta per ordine di un giudice, dopo un’istruttoria con una perizia dei servizi sociali, e prevede diritti/doveri limitati rispetto alla piena genitorialità». Per questo motivo lo scorso gennaio la Consulta è intervenuta per invitare lo Stato a tutelare appieno questi bimbi figli di “adozioni speciali” come la stepchild. Ecco arrivare al novembre 2021, quando cioè il Tribunale intima il Comune – vista l’assenza di una legge ad hoc del Parlamento – a trascrivere integralmente l’atto di adozione e riconoscendo così ad entrambi i componenti della coppia omosex il ruolo di genitore. «La loro tutela non può essere sospesa a tempo indeterminato, nell’attesa che il legislatore vari la normativa», scrivono i giudici, aggiungendo «la Corte Costituzionale ha di fatto confutato la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite che riteneva il bimbo nato da maternità surrogata adeguatamente tutelato mediante l’adozione in casi particolari». Da ultimo, il Tribunale specifica che il figlio deve essere garantito in quanto «soggetto certamente “incolpevole” rispetto alle scelte operate da coloro che hanno contribuito alla sua nascita». Il bambino ottiene così di avere due padri riconosciuti a pieno regime dallo Stato italiano: dal punto di vista legale può essere una soluzione, ma apre una voragine non solo legislativa ma pure “etica” in quanto potrebbe essere spianata la strada verso l’accettazione della pratica di “utero in affitto”. Si tratta allora di mero diritto del figlio o si introduce in materia legislativa il desiderio-diritto di un qualsivoglia individuo voglia diventare genitore?