Come ricorda Miguel Gotor oggi su Repubblica, citando la memoria di Don Luigi Ciotti circa la morte del giudice Rosario Livatino, Papa San Giovanni Paolo II nel suo famoso discorso contro le mafie nella Valle dei Templi ad Agrigento prese netta ispirazioni dalle parole del “giudice ragazzino” (ucciso dalla “Stidda” nel settembre 1990). Ieri Papa Francesco ha promulgato l’ultimo decreto con il quale riconosce il martirio “in odium fidei” per Rosario Livatino che così diverrà beato.
«La notizia della sua beatificazione rappresenta un ulteriore e significativo segnale della Chiesa cattolica contro la mafia, dal momento che Livatino viene così indicato come modello di fede e di comportamento, per ora a livello diocesano e in ambito locale», scrive l’ex parlamentare dem Miguel Gotor. Quel “cambio di passo” però avvenne proprio con il clamoroso discorso di Agrigento il 9 maggio 1993 tenuto da Papa Karol Wojtyla, un anatema contro la “civiltà della morte” che ha portato un deciso e rinnovato spirito di legalità non solo nella Chiesa ma in tutto il Paese. «Convertitevi, una volta verrà il giudizio di Dio!» tuonava il Santo Padre polacco, ma non tutti sanno cosa aveva fatto solo qualche ora prima di quello storico discorso.
LIVATINO E IL DISCORSO DI AGRIGENTO
«Poche ore prima il papa polacco si era recato a rendere visita ai genitori di Livatino e, secondo la testimonianza di don Luigi Ciotti, dopo avere letto una pagina del diario del giovane e devoto magistrato, quella che recava la frase «non ci sarà chiesto se siamo stati credenti ma credibili», scrive ancora Gotor ricordando quanto per San Giovanni Paolo II quelle parole del “giudice ragazzino” furono una forte ispirazione per il discorso “fuori programma” del Papa ad Agrigento. La risposta del terrore avvenne subito da parte di Cosa Nostra: prima le bombe contro le chiese di San Giovanni in Laterano e San Giorgio in Velbro il 28 luglio 1993 e il 15 settembre l’assassinio del prete siciliano Don Pino Puglisi (anche lui fatto beato da Papa Francesco, nel 2013). Gotor enuncia i vari problemi di “interferenza” nella storia tra realtà cattoliche e ambienti della mafia, ma è la stessa Cosa Nostra che prendeva in forte contrasto da quelle figure (come Livatino, Puglisi e i Pontefici) che si opponevano alla cultura mafiosa della morte e dell’indifferenza. Dalle carte del processo di beatificazione emerge inoltre che Livatino veniva chiamato dai mafiosi suoi assassini “santocchio”, ovvero un “bigotto” che si recava a Messa regolarmente nella chiesa di Canicattì. «Ora che quel «santocchio» sarà beato, ed è avviato con passo sicuro sulla strada della santità, anche i mafiosi saranno costretti a venerarlo. Sarebbe bello che la beatificazione di Livatino non avvenisse a Roma, ma ad Agrigento, nel ricordo del grido di dolore di papa Wojtyla, a chiusura simbolica di un cerchio tra fede e storia», conclude Gotor.