Un’app per spiarla sul telefono, un file di appunti su come legarla (recuperato dagli investigatori tra i contenuti del pc nonostante la cancellazione) e 75 coltellate, segno di una situazione di “overkilling” che si traduce in una furia che va ben oltre quanto necessario per uccidere una persona. È con questi pesantissimi elementi che la Procura di Venezia, secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, avrebbe fissato i cardini delle accuse a carico di Filippo Turetta nell’atto che segna la conclusione delle indagini e che apre all’orizzonte del processo.



Il giovane, ex fidanzato della vittima arrestato in Germania dopo una fuga di diversi giorni e attualmente detenuto a Verona, è accusato di omicidio volontario pluriaggravato dalla premeditazione e dalla crudeltà. Contestazioni già sufficienti a profilare l’ergastolo in caso di condanna, alle quali si sommano quelle del sequestro di persona, del porto d’armi continuato, dell’occultamento di cadavere e dello stalking. L’indagato non potrà accedere al rito abbreviato perché il reato è punibile con la pena massima prevista dal nostro ordinamento, ma la difesa potrebbe comunque chiedere una perizia psichiatrica.



La vittima colpita con decine di coltellate, anche al volto

Secondo gli inquirenti, riporta ancora il quotidiano, Turetta avrebbe predisposto una sorta di promemoria sul computer con i punti chiave di quello che la Procura avrebbe definito uno “spietato piano criminoso” volto a far del male alla sua ex fidanzata dopo averla rapita. In un file scoperto dagli inquirenti sul pc dell’indagato, appunti su come legare la ragazza mani e piedi con del nastro adesivo e, inoltre, su come impedirle di chiedere aiuto.

È ancora Il Corriere della Sera a riportare alcuni degli altri elementi dell’impianto accusatorio finora tracciato: in sede di indagine sarebbe emerso che il progetto di morte risalirebbe ad almeno 4 giorni prima del delitto, cioè al 7 novembre scorso, e il ragazzo avrebbe effettuato particolari ricerche online tra cui “nastro isolante”, “manette”, “sacchi neri” e “badile”. Strumenti che gli sarebbero serviti per la seconda fase, quella dell’occultamento, prima di darsi alla fuga. Anche quest’ultima sarebbe stata organizzata nel dettaglio per scampare alle autorità. Avrebbe acquisito informazioni su dove disfarsi del corpo di Giulia Cecchettin (scegliendo infine una zona nei pressi del lago di Barcis, in provincia di Pordenone) e si sarebbe munito di mappe cartacee per neutralizzare l’uso di sistemi elettronici che avrebbe agevolato la sua localizzazione. La dinamica omicidiaria finora ricostruita restituirebbe uno scenario segnato dall’accanimento sulla vittima: delle 75 coltellate, 20 sarebbero state inferte durante un disperato tentativo di difesa della ragazza, colpita ripetutamente anche al volto e in un modo “chiaramente eccedente l’intento omicida“. La prima aggressione si sarebbe consumata nella zona industriale di Fossò, dove la 22enne avrebbe tentato di scappare e sarebbe stata picchiata con “calci ripetuti” mentre era a terra. Il tutto ad un soffio dalla sua casa di Vigonovo dove ad attenderla, mentre erano in corso i preparativi per la sua imminente laurea, c’era la sua famiglia.