Filippo Turetta aveva una enorme dipendenza affettiva nei confronti di Giulia Cecchettin”. A dirlo, a Uno Mattina, è lo psicoterapeuta Alberto Pellai. “L’età è un aspetto cruciale in questa vicenda che ci ha sconvolto. Dentro un fatto mostruoso c’è un giovanissimo che molto probabilmente è poco individuato rispetto alla sua identità e ai suoi progetti di vita. È completamente costruito intorno al suo essere con Giulia, la sua fidanzata”.



Il rimanere senza la ventiduenne ha sconvolto il mondo del killer. “La sua identità si è frantumata nel momento in cui la ragazza lo ha lasciato. È diventato nessuno, si è sentito vuoto e privo di un progetto”, ha spiegato l’esperto. È in virtù di questo caso emblematico che è necessario domandarsi cosa si sta sbagliando nell’educazione dei più piccoli. “Non basta la prevenzione secondaria, l’aiutare le ragazze a riconoscere i segnali di una relazione a rischio. È necessaria ora una prevenzione primaria, ovvero sentimentale e sessuale. Bisogna riconoscere l’analfabeta sentimentale, quello che non è in grado di maneggiare il dolore e di tollerare la frustrazione. Noi in questo momento abbiamo dei ragazzi che stanno soffrendo”. 



Giulia Cecchettin, “Filippo aveva una dipendenza affettiva”. Il parere di Alberto Pellai

Alberto Pellai ritiene che il lavoro debba cominciare fin dall’infanzia. “La prima educazione arriva dalla storia d’amore dei propri genitori. Noi padri abbiamo un ruolo importantissimo nei confronti dei figli maschi, quello di insegnare la competenza al posto della potenza. Dobbiamo insegnargli che si può essere fragili, vulnerabili e bisognosi di aiuto. Ciò non significa non essere veri uomini, ma essere uomini veri. È un problema di cultura legato alle questioni di genere. La fragilità è un qualcosa di cui prendersi cura, non da trasformare in rabbia con l’obiettivo di generare una realtà come la vorremmo quando si prospetta diversa da come ce la saremmo aspettata”. È ciò che invece Filippo Turetta ha cercato di fare con Giulia Cecchettin, fino all’omicidio.



L’esperto, in tal senso, ha invitato i giovani a farsi aiutare prima che accada il peggio. “Quando un adulto gli propone di farsi aiutare, andando da uno psicoterapeuta, spesso vanno immediatamente in ritiro. L’ultima cosa che vogliono è essere aiutati. Dobbiamo promuovere, fin da bambini, l’educazione emotiva e la consapevolezza del sé. Sono le cosiddette competenze della vita. È un lavoro enorme ma è nostra responsabilità portarlo avanti”, ha concluso.