L’assassinio di Giulia Cecchettin non è un femminicidio come gli altri. Sono assenti infatti tutte le caratteristiche che spesso accompagnano simili nefandezze. È assente qualsiasi degrado sociale, qualunque degrado culturale, lo stesso ambiente relazionale potrebbe essere definito come tra i più sani. Mancano alcool e droga, vittima e assassino sono due studenti universitari uno dei quali, Giulia, è addirittura alla vigilia della discussione della tesi in un settore disciplinare, ingegneria biomedica, che comporta impegno e dedizione. Lui svolge addirittura un’attività sportiva, allenando una squadra di pallacanestro ed entrambi provengono da famiglie specchiate per rettitudine, abitano in centri di buona qualità della vita, cosmi sociali di convivenza comunitaria ben lontani dalle periferie metropolitane per qualità dei rapporti e serenità delle relazioni.



La tentazione di scavare nel profondo diventa quindi fortissima. Quando i contesti non forniscono nessun alibi, andare a cercare ciò che si cela dietro qualsiasi psiche maschile nel momento della relazione con la donna è una tentazione perfettamente in linea con il sentimento della nostra epoca, dove nulla ci sembra essere come appare, i prìncipi diventano orchi, e gli orchi sono in realtà degli angeli. Decenni di primato del relativismo culturale forzano la mano nel rintracciare le ragioni del crimine dietro la cornice di una parità di superficie. Il possesso, il dominio, l’orgoglio, che sempre sembrano albergare nel cuore maschile appaiono pronti, sempre e dovunque, ad esplodere ogni volta che la donna alla quale ci si è legati abbia successo, si riveli più brava e più diligente.



Ritenere che un simile delirio possa albergare anche nell’uomo apparentemente più lontano da eccessi di ogni tipo non è affatto un’ipotesi errata. L’errore sta nel ricondurla ad una cultura patriarcale che in realtà è scomparsa da decenni.

Chi detiene ancora i cromosomi mentali di un’immagine patriarcale, e quindi dominante, del ruolo maschile, non inizierebbe mai una relazione paritaria con una persona dell’altro sesso. Sceglierebbe una ragazza con almeno cinque anni di età in meno, magari al penultimo anno delle scuole secondarie e non certo alla vigilia della laurea, dinanzi alla quale potrebbe atteggiarsi come maestro di vita, esperto dei luoghi e delle cose del mondo. Il maschio che vuole essere dominante si premunisce con delle cautele anagrafiche consistenti.



Un tale ruolo tuttavia è molto meno ricercato di quanto non si creda. Esso comporta infatti assunzioni di responsabilità, scelte già sottoscritte dinanzi alla propria famiglia ed a quella della propria ragazza, tempi e scadenze. In un piccolo centro peraltro, una tale posizione implica l’assumere un ruolo pubblico che produce dei vincoli ed implica un autocontrollo. Chi voglia ancora giocare il ruolo del patriarca deve già necessariamente legarsi ad un ruolo e ad una posizione. Ciò spiega perché una tale dinamica venga accuratamente evitata ed i femminicidi aumentino proprio quando, veleggiando verso i Paesi del Nord Europa, ci si separa da qualsiasi cultura patriarcale.

Il patriarcato è in realtà improponibile da quando viviamo da oltre mezzo secolo in una società nella quale è proprio l’allontanamento dalle responsabilità e quindi dai legami personali e dai ruoli famigliari (cioè l’esatto contrario di qualsiasi cultura patriarcale) ad imporsi ovunque. Al posto dei vincoli e delle responsabilità dell’aspirante patriarca viene preferito l’understatement del compagno umile ed attento, magari cuciniere di biscotti per la propria amata.

Al posto del patriarcato – concetto-feticcio di una società oramai minoritaria – il problema risiede invece in uno scenario ben più grave, in quanto più subdolo e penetrante. Si tratta dell’involuzione narcisista che sta caratterizzando sempre di più delle generazioni dalle quali sono progressivamente svanite tutte le diverse autorità di riferimento.

Alla base di questa involuzione c’è lo straordinario potere assunto dal singolo, dinanzi al quale nessuna autorità ha più la possibilità di dire “tu devi”. Il narcisismo è il diretto prodotto di soggettività autoreferenziali che si sono sviluppate nell’assenza di quello stesso potere che un tempo le dirigeva e del quale si sono di fatto impadronite. Sono questi uomini, “senza padri né maestri” che, quando non edificano un proprio percorso di realizzazione lavorativa o professionale, si trasformano in nuovi presìdi di potere: il proprio. La loro nullità professionale viene mascherata dal micropotere che costoro scatenano nel privato del loro rapporto di coppia: vero ed unico scenario possibile di un’affermazione personale in realtà inesistente.

Il delirio di potersi costruire la propria immagine, ponendo gli altri significativi (ed in particolare la propria donna) nella giusta posizione, trasforma questi soggetti in mostri e, se la società può essere ritenuta responsabile lo è per la sua assenza, per essersi auto-esclusa da qualsiasi problema di formazione, lasciando che i soggetti degradassero nella loro spirale autoreferenziale, magari esaltandosi con l’alta velocità, lo sballo del sabato sera, le preziosissime ed utilissime sostanze stupefacenti (il cui commercio, come è noto, è più che florido) oppure – ed è questo il caso – la sottomissione dell’altro: preziosa protesi per la conferma del proprio io minimo. Una sottomissione che sostituisce tutte le devianze possibili e si ammanta del proprio opposto: la sua specchiata normalità.

Appare abbastanza chiaro come la soluzione non risieda nel superamento del residuo patriarcale che ancora alberga in qualche spiraglio periferico della società contemporanea, quanto in quello del narcisismo autoreferenziale che invece dilaga ovunque le autorità sfuggano alle loro responsabilità. Sottratto a qualsiasi giudizio (familiare, scolastico, professionale) il soggetto si ritrova ad avere nelle mani il potere di autoesaltarsi nella sua manifesta nullità: chi osa togliere il velo è potenzialmente pericoloso. È il maestro dal quale sfuggire, il padre da evitare, oppure la propria ragazza da soggiogare, o da eliminare.

Ed è questo potere che gli va tolto, riconducendolo dinanzi ad una scuola che insegna, una famiglia che forma, una società che educa.

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