Giulia Ligresti, come avete avuto modo di leggere nei giorni scorsi sulle colonne de IlSussidiario.net, è stata assolta dalle accuse di aggiotaggio e falso in bilancio “perché il fatto non sussiste” e ha ottenuto un risarcimento di 16 mila euro, ma solo per i primi 16 giorni dei 43 passati nel carcere di Vercelli tra luglio ed agosto di nove anni fa. La sentenza della Corte d’Appello, tuttavia, non ha previsto alcun tipo di risarcimento per i 21 giorni trascorsi a San Vittore nel 2018 come espiazione della pena per reati da cui pochi mesi dopo fu invece scagionata.
Ai microfoni del “Corriere della Sera”, Giulia Ligresti ha commentato così l’accaduto: “Utilizzerò il risarcimento per sostenere i progetti umanitari a favore di donne e bambini in difficoltà di cui da sempre mi occupo, ma sono molto delusa del fatto che il mio patteggiamento sia stato considerato un’ammissione di colpa. Mi trovavo in un luogo infernale dove non sarei sopravvissuta un solo giorno in più. Ero angosciata e disperata e mi era stato fatto chiaramente capire che quella era l’unica strada, l’unico strumento per uscire da lì. La mia volontà non era patteggiare, la mia volontà era far finire quell’incubo”.
GIULIA LIGRESTI: “AVREI SOTTOSCRITTO QUALUNQUE COSA PUR DI FAR FINIRE QUEL MARTIRIO”
Nel prosieguo dell’intervista concessa al “Corriere della Sera”, Giulia Ligresti ha asserito di essersi ritrovata in una situazione che lei stessa ha definito “kafkiana, in cui, pur non avendo commesso nulla, sono stata costretta a cedere per tornare a casa dai miei figli. Ricordo ancora oggi il primo interrogatorio da detenuta: sono stata prelevata dal carcere all’alba, costretta dentro il recinto del furgone blindato fino al tribunale di Torino. Un caldo atroce e il mio panico perché soffro di claustrofobia. Lì mi hanno fatto attendere per un tempo interminabile nelle celle dei sotterranei. Sono arrivata all’interrogatorio priva di qualsiasi forza di combattere e totalmente disperata”.
È stato in quel momento che a Giulia Ligresti è stato detto che la sua detenzione sarebbe potuta durare mesi e mesi e che l’unica strada per uscire era quella del patteggiamento: “Ho provato durante l’interrogatorio a difendermi e a sostenere la mia posizione, ma la violenza verbale è stata tale che non ho avuto altra scelta che accettare passivamente la strada di un accordo con la Procura. Avrei sottoscritto qualunque dichiarazione pur di far finire quel martirio […]. Io sapevo di essere innocente, senza se e senza ma, ed ero annientata dalla condizione della privazione della libertà. Ho deciso di scegliere la ‘vita’, scriva proprio così, facendo prevalere l’istinto materno di stare accanto ai miei figli Ginevra, Federico e Leonardo, che hanno dimostrato una forza straordinaria in quei giorni che non dimenticheremo mai”.