Giulia Ligresti, figlia del costruttore e assicuratore Salvatore, ha ottenuto un indennizzo per ingiusta detenzione. Lo riporta sulle sue colonne il “Corriere della Sera”, che spiega come i giudici del tribunale di Milano abbiano deliberato per il “risarcimento” dei 16 giorni di custodia cautelare in carcere trascorsi dalla ragazza nel 2013, quadruplicando la somma rispetto al parametro di legge (1.000 euro al giorno anziché 256 euro) “in considerazione del clamore mediatico dell’arresto” e della “particolare afflittività” della detenzione.



Come rammenta il quotidiano sopra menzionato, nell’inchiesta sui supposti falsi da 600 milioni nelle riserve sinistri di Fondiaria-Sai, “Giulia Ligresti fu arrestata dal gip di Torino il 17 luglio 2013 quale vicepresidente di Fondiaria (pur senza deleghe esecutive) e asserita beneficiaria con i familiari del sistema fraudolento. Replicò di nulla sapere di criteri contabili, dismise ogni carica, e il 2 agosto chiese di patteggiare. Il 28 agosto passò dal carcere ai domiciliari su richiesta del pm dopo una perizia sulle sue condizioni di salute, alle quali (si scoprì poi da alcune intercettazioni) si era interessata anche il ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri. Il 3 settembre 2013 Ligresti ottenne dal gip di patteggiare 2 anni e 8 mesi, il 19 settembre tornò libera”.



GIULIA LIGRESTI RISARCITA: LEI CHIEDEVA 1,3 MILIONI DI EURO, MA IL TRIBUNALE HA RISPOSTO COSÌ…

Non è tutto: Giulia Ligresti il 19 ottobre 2018 fu arrestata per scontare appunto la pena patteggiata nel 2013, ma nel frattempo “il fratello Paolo e due manager erano stati assolti il 16 dicembre 2015 per insussistenza di quei medesimi reati costatile invece la condanna nel 2013. Un contrasto di giudicati che determinò lo stop all’espiazione della pena il 7 novembre 2018, la revisione della condanna, e l’assoluzione l’1 aprile 2019 ‘perché il fatto non sussiste'”.



Adesso, pertanto, Giulia Ligresti chiedeva di essere indennizzata con 1,3 milioni per errore giudiziario e per ingiusta detenzione. Tuttavia, ha asserito ancora il “Corriere della Sera”, la Corte d’appello “nega ristoro all’errore giudiziario perché il patteggiamento è inequivocabile manifestazione di volontà dell’imputato e presuppone il suo implicito riconoscimento di responsabilità. Per lo stesso motivo non ripara anche l’ingiusta detenzione nei giorni successivi alla richiesta di patteggiamento”.