Caro direttore,
non credo al femminicidio. Dopo questa frase molti smetteranno di leggere e chiuderanno l’affermazione scandalosa – e me – dentro la categoria “nuovo negazionismo”. E io insisto: non credo al femminicidio, perché ciò che uccide una donna, salvo in alcuni casi, non è l’odio verso “la donna”, ma il fatto che quella donna, in quanto madre, moglie, amica, figlia e ognuno aggiunga la qualifica che vuole, ad un certo punto smette di corrispondere alle aspettative di quell’uomo. E allora, se il sentimento non è educato, esplode la violenza nelle sue forme più macabre. Ciò che si odia è il limite dell’altro che impedisce la soddisfazione fino in fondo delle mie voglie, dei miei bisogni, dei miei desideri, anche quelli più puri. Uccido quella donna, dunque, non in quanto donna, ma per la forma di minaccia, di insofferenza, di rabbia che assume quel legame con lei.
Così come non credo che oggi si stia assistendo all’emergere di un sommerso che ha caratterizzato la storia del maschio da sempre, secondo alcuni anche nel nostro Paese; come se certe cose fossero sempre accadute ma, per sottomissione o altro motivo, nessuno le avesse mai denunciate. No, il fenomeno oggi è esplosivo, ed ha a che fare con la scomparsa del senso del sacro, con il venir meno del rispetto dell’altro e della coscienza di sé. Da un certo punto di vista l’omicidio è solo l’ultimo tragico scalino di un percorso che cresce e si alimenta di una sottocultura che vibra dentro canzoni, film e tanto altro, dando forma, se possiamo dire così, al modo di vivere i rapporti tra i giovani e i giovanissimi.
Il problema non riguarda la società patriarcale, come scrive a ragione Marcello Veneziani in un suo tweet, ma l’incredibile vuoto educativo e valoriale che si è venuto a creare lasciando soli ed esposti alla violenza del nulla le figlie e i figli dei nostri giorni, noi. Serve più educazione, anzi: serve tornare a educare, unico antidoto e garanzia per la costruzione di una società migliore di quella attuale. Educare è scomodo, e bisogna essere educati per poter diventare educatori. Noi invece preferiamo liquidare la questione, troppo dolorosa, dietro slogan e parole d’ordine da appiccicare ben confezionate con i loro hashtag sulle nostre bacheche social. E così, detto che i cattivi sono stati individuati, detto che chi ha ucciso non è uomo, ci sentiamo un po’ sollevati e possiamo passare oltre. Invece il problema sta proprio nell’uomo – non nel maschio – ma nell’uomo, impastato com’è di bene e di male, capace ad un tempo di essere Padre Massimiliano Kolbe e il gerarca nazista.
Occorre educarci ed educare. Occorre riscoprire il senso della sacralità della vita dell’altro. Tenere alta la guardia sull’uomo, maschio o femmina che sia, perché il male è sempre in agguato e l’uomo da solo non basta.
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