“Chiedo scusa per la mia disumanità”. Con una frase icastica Alessandro Impagnatiello, l’autore del duplice omicidio che nel maggio scorso mise fine alla vita di Giulia Tramontano di 29 anni e del loro figlio ancora in grembo, scolpisce davanti al giudice della corte di Assise di Milano la propria angoscia e il proprio pentimento. Che sia ravvedimento reale oppure strategia difensiva poco importa: chiedere scusa, in qualunque situazione avvenga, è un fatto che segna sempre uno spartiacque. Ad alcune semplici condizioni.



La prima è che le scuse siano frutto di una consapevolezza. L’antica sapienza morale del cristianesimo distingue nel pentimento tra contrizione e attrizione e se l’attrizione è il riconoscimento del male fatto, la contrizione – forse in modo un po’ semplificato – altro non è che provare dolore per il male compiuto. Le scuse di Impagnatiello sono scuse interessanti, scuse su cui si può costruire nuovamente qualcosa dopo la violenza degli omicidi, solo se sono accompagnate da una vera e profonda contrizione. Ma questo, va detto, nessuno può misurarlo: a chi ascolta e a chi legge altro non spetta che prendere atto di quanto affermato.



La seconda condizione, dunque, è quella decisiva: perché le scuse di Impagnatiello possano essere uno spartiacque è necessaria la disponibilità a che le parole diventino un cammino. Io ti chiedo davvero scusa quando sento dolore per quello che ho fatto e quando sono disponibile a rimediare. È ovvio che alla morte non c’è rimedio, ma ricostruire non significa rimettere le cose come erano prima, bensì tornare a costruire qualcosa dove prima c’era solo violenza, rabbia e dolore. Ricostruire, anche fra due persone che si sono lasciate o in una famiglia lacerata dai conflitti, significa identificare nello spazio del male un luogo dove rimettere in piedi un bene.



Che cosa questo significhi per Impagnatiello lo devono dire gli psicologi e la comunità che lo circonda: che cosa può essere chiamato a ricostruire quell’uomo? Che cosa può diventare oggetto di bene quando invece prima non è stato altro che terreno di male?

La terza condizione per cui le scuse possono diventare uno spartiacque è ancora più netta: sentire il dolore per il male fatto ed essere disponibili a rimediare significa piena apertura nei confronti della pena. Impagnatiello non può pensare di ricostruire qualcosa senza espiare. Ma l’espiazione non è un percorso di mortificazione, bensì un processo di rieducazione, di permanenza in uno stato di libertà condizionata capace di far riflettere l’individuo fino a far maturare in lui la capacità di identificare le azioni migliori per riprendere il cammino e costruire vita. La pena è una medicina che ha come obiettivo non la punizione del reo, ma la consapevolezza. Invocare pene esemplari non solo porta con sé un atteggiamento pieno di rabbia e gonfio di vendetta, ma rischia di trasformarsi in un boomerang che amplifica la violenza che si vuole punire, fornendo altra legna al fuoco dell’umiliazione e del risentimento.

Dolore, riparazione, pena sono solo tre dei quattro passi che rendono le scuse di chiunque attendibili e veraci. L’ultimo è il gradino decisivo: arrivare a sentire, a percepire, il dolore dell’altro. Il dolore di Giulia, il dolore del piccolo, il dolore di chi è rimasto, come la sorella o il padre della ragazza. Tutto questo si chiama compassione, sentire il male nel cuore di chi abbiamo ferito. Tutto il processo messo in piedi contro Impagnatiello non è solo per rendere giustizia a Giulia con la pena più adeguata, ma perché l’assassino possa ritrovare dentro di sé l’angoscia, la paura e il senso di morte che ha trasmesso alle sue vittime. Diventiamo davvero umani solo quando percepiamo l’umanità di chi ci sta accanto. Torniamo ad essere uomini solo quando ricominciamo ad appartenere ad una storia che è anche emotiva e che riparte quando ricomincia a vivere dentro di noi.

È necessario che la vita di Giulia e del suo bambino inizino a vivere dentro la vita di Alessandro, è fondamentale che lo sgomento del papà di Giulia e della sorella trovino ospitalità nelle fibre di Impagnatiello, così da iniziare il processo più difficile. Che non si svolge a Milano, ma nelle ferite del cuore. Quel cuore che oggi chiede scusa ma che domani, per essere credibile, dovrà accettare di percepire dentro la propria vita tutto il fardello delle vite che ha ucciso e che ha cambiato per sempre.

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