Nessuno meglio di Giuliana Chiorrini, presidentessa del comitato locale della Croce Rossa di Castelplanio (Jesi) può descrivere la storia di Carlo Urbani: per il mondo il “medico eroe” della Sars, per lei anche e soprattutto suo marito. Intervistata dal portale “Vita” allo scoppio della pandemia di coronavirus, la signora Giuliana ha ripercorso la parabola di Carlo Urbanì, l’uomo che ferò la Sars con la sua prontezza e la sua competenza: “Mentre eravamo in Vietnam, Carlo è stato chiamato ad Hanoi per il caso di una malattia sospetta e sconosciuta che aveva colpito un uomo d’affari occidentale. Era il 28 febbraio 2003, e sin da subito mio marito aveva capito la gravità della situazione, riscontrando che le infermiere che erano state a contatto con quel paziente erano state contagiate“.



Compresa la gravità della situazione, il dottor Urbani cercò di entrare in contatto con le autorità locali per cercare di contenere l’epidemia: “Non fu facile farsi ascoltare, Carlo si trovava di fronte a uno scenario inedito, ma gradualmente le autorità cominciarono a seguire le sue indicazioni“.



MOGLIE CARLO URBANI: “MIO MARITO FERMO’ LA SARS, IL SUO ESEMPIO NON E’ STATO SEGUITO”

Venti giorni dopo, precisamente il 18 marzo, il dottor Carlo Urbani venne chiamato a Bangkok, in Thailandia, ma durante il volo iniziò a sentirsi male. L’allora capo dell’unità investigativa pandemica avvisò subito i colleghi dell’OMS invitandoli a prendere le dovute precauzioni. Non solo: disse anche di prelevare tessuti dai suoi polmoni per analizzarli ai fini di ricerca. La moglie Giuliana Chiorrini racconta: “Fu lui stesso a dare l’indicazione di essere messo in isolamento. Parlavamo con lui al telefono, ma lo sentivo sempre più affannato, stanco, così ho deciso di rimandare i bambini dai nonni in Italia e raggiungerlo. Potevo fargli visita per pochi minuti, solo due volte al giorno. Mi faceva impressione entrare da lui tutta bardata, con la mascherina in gomma e poi doverlo lasciare solo e trovarmi io stessa completamente sola in albergo“.



La moglie di Carlo Urbani racconta ancora: “Mio marito non aveva paura di morire, non aveva rimpianti, ma non nascondeva il rammarico di non poter più vedere i bambini. Fino all’ultimo si era confrontato con i colleghi medici, trasmettendo tutta la sua esperienza. La situazione è precipitata il 26 marzo e i medici lo hanno dovuto intubare. Il 29 Carlo è spirato. Al sacerdote disse che non aveva rimpianti, che dalla vita aveva avuto tutto, ma che lo addolorava dover lasciare i figli“. Impossibile, allo scoppio della pandemia di coronavirus, non pensare a Carlo Urbani: “Mi sembra di tornare indietro nel tempo, la situazione è identica, come si è sviluppato il contagio, come si è evoluto, e questo mi provoca angoscia e rabbia. All’epoca Carlo era riuscito, con non pochi sforzi, a far circoscrivere tutto. Mi domando perché oggi, nonostante quella drammatica e al tempo stesso preziosa esperienza, non sia stato fatto. Sarebbero state risparmiate molte vite; l’impressione è che si sia sottovalutato il rischio sin dall’inizio“.