Giulio Carmassi è uno dei più straordinari talenti affacciatisi sulla scena musicale internazionale in questi ultimi anni. Diplomato in pianoforte al Conservatorio di Lucca nel 2001, nel 2003 si trasferisce negli Stati Uniti. La molla che lo convinse fu il sogno di lavorare con Barbra Streisand una delle sue grandi passioni musicali. Ad eccezione dei suoi primi insegnanti che lo incoraggiarono (Vincenzo Maxia maestro di piano iniziale che gli suonò Gershwin a dodici anni e Andrea Pellegrini per il jazz) l’idea di dedicarsi a più strumenti, almeno nel nostro paese, appariva ai più un poco bizzarra.



Questa sua attitudine ha un triste antefatto, dovuta ad una lunga malattia che lo perseguitò dai cinque ai dieci anni di età. Fu proprio in quel periodo che Giulio iniziò ad appassionarsi alla musica. Ben presto, casa Carmassi iniziò a riempirsi di strumenti.

“Le mie passioni fra i cinque e gli undici anni erano i Queen, i Beatles, Bruce Springsteen, i Dire Straits e i Talking Heads. Il jazz è entrato nella mia vita con tre dischi, uno di Metheny, uno di Jarrett e uno di Corea, comprati un po’ per caso nella sezione jazz, per via delle belle copertine”. (Giulio Carmassi)



Oggi Giulio oltre a suonare pianoforte, tastiere e synth si cimenta con eguale bravura con batteria, basso, chitarra, sassofono, flauto, clarinetto, tromba, flicorno e violoncello.

Stabilitosi a Los Angeles, consegue il diploma di tecnico del suono al Musician Institute e il diploma di musica da film conseguito all’UCLA. Nel 2004 torna in Europa dove passerà sei mesi a Parigi, rientra quindi a Los Angeles e nel 2009 avviene il trasferimento a New York, dove avverrà la svolta della sua carriera.

Will Lee, considerato uno dei più grandi bassisti del mondo (Brecker Brothers, Steely Dan, Diana Ross, Dave Letterman Show, Dreams) lo prende sotto la sua ala protettiva inserendolo nella sua band Will Lee’s Family. A New York Giulio inizia così a collaborare con musicisti del calibro di Steve Gadd, Chuck Loeb, Akiko Yano, Oz Noy,Mark Egan e Lew Soloff . Sarà un periodo molto intenso e molto duro al tempo stesso.



“Quando Pat Metheny mi ha trovato, ero praticamente senza tetto (ride) e vivevo nella mia sala prove senza finestre e bagno; mi facevo la doccia alla palestra locale distante trenta minuti a piedi dallo studio” (Giulio Carmassi)

Pat Metheny inizia a seguirlo, intenzionato a ingaggiarlo come cantante e polistrumentista per la nuova formazione del Pat Metheny Group. A seguito della rinuncia di Lyle Mays, Metheny decide così di allestire il Pat Metheny Unity Group band nella quale Carmassi entra a far parte mettendosi in mostra nel corso di circa centocinquanta concerti, registrando due album KIN (2014) e   THE UNITY SESSION (2016). In KIN Giulio suonerà piano, tromba, trombone, clarinetto, flauto, sassofono vibrafono, corno, violoncello oltre alle parti vocali.

E’ stata questa l’occasione di mettere in luce tutta la sua abilità, una palestra eccezionale e anche controversa, visti gli atteggiamenti del Metheny di questi ultimi anni. Con il passare degli anni, Carmassi acquisisce una straordinaria competenza anche dal punto di vista tecnico, diventato profondo conoscitore e programmatore di synth, tastiere e tecniche di registrazione, oltre a mostrare un tocco particolare proprio nell’arrangiamento dei brani. Inizia una proficua attività di compositore di colonne sonore per film; insieme al suo vecchio amico Brian Scary fonda la Hummingbirds con la quale produrranno musica per le più importanti multinazionali americane e non solo. Acclamatissimo al Sundance 2020 il film Black Bear si avvarrà, infatti, della loro musica.

Tutto ciò non gli ha precluso l’incisione del solo INNOCENT al quale fa seguito A DREAM OF THE HOUSE BY THE CLIFF, il cui ascolto riceviamo in anteprima assoluta e nel quale il nostro musicista affronta il tema del viaggio. Otto brani, composti arrangiati e suonati da Carmassi che ci accompagna nell’ascolto con il suo commento.

La gestazione dell’album avviene ad inizio 2020 con l’ascolto di alcuni classici della musica pop italiana della seconda metà degli anni ’70 quando gli album di molti grandi nomi beneficiarono di grandi produzioni.

“Questo nuovo lavoro è stato ispirato dalla riscoperta, all’inizio del 2020 di alcuni album classici Italiani della seconda metà degli anni 70. In particolare di Baglioni, Zero e Battisti, ma anche di Dalla e De Gregori. Quel sound compatto, romantico e giocoso. Un misto di innocenza, divertimento e sottobosco dolce amaro. In più in quest’anno così buio, c’è stato il desiderio di trovare un po’ di luce, un po’ di leggerezza” (Giulio Carmassi)

Molto interessante la parte tecnica della nuova incisione che beneficia dell’immensa strumentazione di Carmassi, fondamentale nel caratterizzare la qualità timbrica e sonora dell’intero lavoro.

“A livello sonoro una delle basi del disco, è l’utilizzo di un grosso synth modulare, della DotCom, in formato 5U. Tutti i suoni di synth provengono da questa macchina, che chiamo normalmente “Elliot”. In più nel tempo mi sono costruito questa grossa pedaliera con ogni ben di dio, e anch’essa è al centro, con la sua effettistica, del sound del disco. Ho suonato tutti gli strumenti, con l’eccezione degli archi, che provengono da una serie di librerie di suoni della 8Dio. Quanto a chitarre e bassi, me li sono costruiti artigianalmente qui a casa”. (Giulio Carmassi)

Questo spiegamento di tecnologia non va frainteso, l’ascolto è infatti coinvolgente ed emozionante. Giulio, proprio per evitare la realizzazione di un lavoro senz’anima, opta per l’assenza del metronomo.  I pezzi sono tutti suonati in sovraincisione, partendo da una batteria suonata libera, senza click. Questo per mantenere un senso di organicità e naturalezza, senza la struttura più prevedibile e fredda di un tempo stabile.

L’idea portante di A DREAM OF THE HOUSE BY THE CLIFF è il tema del viaggio; la voce viene utilizzata solamente per qualche vocalizzo.

“Ho voluto che l’album fosse breve. I miei dischi preferiti sono tutti di circa una mezz’ora. E non mi è sembrato necessario chiedere più’ tempo di così all’ascoltatore. Dal punto di vista concettuale è una sorta di viaggio fra l’innocenza e il caos, ciò che non si conosce ancora. Fra l’infanzia e la presa di coscienza. E’ la ricerca di se stessi attraverso l’incontro fra l’ingenuità e l’ignoto. Per questo mi è venuto voglia di dargli un tema avventuroso Il viaggio-sogno di una persona che va da solo nella giungla per cercare qualcosa, ma in realtà trova se stesso. Il sogno della casa sul dirupo. Scoperta della casa e ritorno a casa, e casa che dà sicurezza, ma casa anche sull’orlo del precipizio.  A metà fra certezza e incertezza”. (Giulio Carmassi)

L’album si apre con Canoe e un prologo orchestrale che riporta ai grandi film americani degli anni ’40. Il tema è attuale nelle sonorità e nei ritmi con un solo di piano elettrico. Le atmosfere si avvicinano al jazz elettrico.

“In effetti Canoe apre con un momento romantico, filmico. E’ un po’ ironico, ma è anche per me il buttarmi nelle cose che mi piacciono veramente, anche se sono datate. C’è una sorta di breve cadere nel sogno, nel film, per poi entrare nella prima scena. Qui il protagonista sulla sua canoa, è speranzoso, allegro anche leggermente titubante. Il sognare ad occhi aperti, cullati dal lento andare della canoa”. (Giulio Carmassi)

Ten Thousand Birds evoca i grandi album CTI, orchestrazioni e sonorità respirano certo rock jazz americano, cantabile, dai temi aperti, con le linee melodiche che emozionano.

“Questo pezzo è molto ispirato alla fusion americana della fine degli anni ‘70 e primi anni ‘80, con Dave Grusin, Lee Ritenour, Ivan Lins; ma anche dalle colonne sonore delle commedie degli anni ‘60. Vuole rappresentare un ottimismo un po’ infantile, senza paura, quasi una testarda sicurezza” (Giulio Carmassi)

In The Kingdom Of The Faceless Queen, Giulio mette in campo i suoi synth; l’incedere è a tratti epico. Il pianoforte e la voce missata in sottofondo danno respiro alla drammaticità dell’esecuzione che termina, in un clima di rilascio, con il piano in evidenza su un intreccio di frasi dei synth.

“Qui c’è il primo momento di incontro con l’ignoto. Un misto di stupore, curiosità, paura, desiderio. E poi l’arrivo di qualcosa di imponente, totalizzante. Mi sono divertito molto col synth a creare questo “brodo spaziale” di suoni randomizzati e distanti”. (Giulio Carmassi)

L’apertura di The Child General, con i suoi cori, sembra ricordare il Brasile di Milton Nascimento. La ritmica è quasi funk, gioiosa quando rientra sull’impronta sud americana, sorprende il clarinetto mitteleuropeo, gran finale con il tocco del flicorno.

“L’ispirazione qui è sudamericana, filtrata dal pop Italiano che ne ha fatto tesoro negli anni ‘70. E’ un pezzo violento, ma in maniera infantile, innocente. Mi ha fatto venire in mente un esercito di bambini che giocano alla guerra. Bambini un po’ matti, un po’ esagitati. Un altro incontro con qualcosa di strano, che sa essere gioiose e terribile allo stesso tempo”. (Giulio Carmassi)

Path Through The Jungle è il brano più rappresentativo dell’album. Il clima è quasi ipnotico, con un’andatura minimale, l’orchestrazione, a metà brano, diventa potente, incalza. Sullo sfondo si percepisce prima un vocalizzo, poi un disperato suono di sax, missato in chiusura, prima dalla ripresa del tema.

“Questo è il pezzo più ‘moderno’ del disco. Più’ connesso agli anni ‘80 e ‘90. Anche qui mi sono divertito molto col synth bass nella seconda parte. Con un suono di profonda obesità. E’ un momento di pausa, di meditazione, prima della seconda parte, dove ritorna il tema dello stupore, dell’incontro con qualcosa di ambivalente e nuovo”. (Giulio Carmassi)

Arriviamo all’interludio di Moonless Night (1:59) aperto dal piano in solitario, con il tema, prima cantato all’unisono con il violoncello e, a seguire, con le tastiere.

“Moonless Night è una sorta di discesa temporanea in uno spazio senza luce, senza futuro. Un momento di dubbio e di stasi. Rimane l’ambivalenza fra pace e paura”. (Giulio Carmassi)

I claps e l’incedere del basso danno il via a Crawling Fever, che riporta al grandi dischi del Pat Metheny Group e al geniale Lyle Mays. Imperiosi i crescendo, dove tastiere e voce, all’unisono, evocano i fasti di quella musica.

“Qui il clima è profondamente ottimista. Talmente ottimista da sembrarmi quasi un’illusione, un sogno momentaneo, una visione dovuta a una febbre del viaggio. E’ ispirato dall’amicizia, sul tornare a casa, sul pensare alla casa, pensare al ritorno verso la sicurezza, verso ciò che si conosce”. (Giulio Carmassi)

Chitarra e piano all’unisono aprono The Cliff, il clima è malinconico, il viaggio si sta per concludere. A metà brano il crescendo orchestrale sembra quasi rappresentare la gioia che si prova all’arrivo in un porto sicuro. I pad di tastiere e l’acustica a corde di nylon sottolineano questa intenzione, l’orchestrazione e ricca, si avverte il flauto; lo strumming finale sulla acustica accompagna gli accennati vocalizzi di Carmassi. Sarà proprio la chitarra a chiudere le ultime note del disco.

“L’arrivo e il ritorno. Il finale classico. Dopo la scalata, dopo il viaggio, il gusto dolce amaro della fine. I pensieri verso gli incontri del cammino. Dopo una parte iniziale di trionfo, c’è un finale più’ intimo, felice, ma anche stanco, speranzoso ma anche malinconico. Ritorna anche il synth bass obeso di Elliot”. (Giulio Carmassi)

L’intero A DREAM OF THE HOUSE BY THE CLIFF, è stato registrato nello studio di Giulio Carmassi che ne ha curato il mix (in parte digitale e in parte  analogico). La copertina è un illustrazione di Giuseppe Falco.

Lavoro estremamente raffinato nel quale Carmassi, dispiega, su un ipotetica tavolozza, tutti i colori, le capacità, l’arte di arrangiare e comporre, rappresentati con sapiente abilità strumentale, suonando in maniera impeccabile tutti gli strumenti. Un grande talento che, a nostro avviso, può regalarci musica di altissimo livello, collocandosi fra i grandi della Contemporary Instrumental Music, dove l’Accademia dei Grammy Awards colloca quella musica che è in grado di fondere, in maniera mirabile, più generi, mostrando l’intatto amore per il jazz, il rock e la musica classica contemporanea.

L’augurio che facciamo a Giulio Carmassi è quello di continuare su questa strada, sperando di poterlo presto ammirare dal vivo quando riprenderanno spettacoli e manifestazioni. Grande musica; si consiglia “vivamente”. Uno dei più bei dischi del 2020. Disponibile a breve su tutte le piattaforme digitali