Giulio Giorello è morto questo pomeriggio a Milano accanto alle cure e attenzioni della moglie sposata appena 3 giorni fa: il grande filosofo, epistemologo, professore di Filosofia della Scienza agli Università Statale di Milano si era ammalato di coronavirus già diversi giorni fa, ma dopo un primo ricovero era stato poi dimesso per deciso miglioramento del suo stato di salute, tanto che era riuscito a sposare la sua compagna storica Roberta Pelachin. Poi però un nuovo peggioramento e il nuovo ricovero al Policlinico di Milano: purtroppo oggi pomeriggio la notizia che il mondo della filosofia e cultura nazionale accolgono con dolore e riconoscenza per un grande pensatore che ci “saluta”.



Allievo di Geymonat, doppia laurea in filosofia e matematica fin dalla seconda metà degli anni settanta si afferma con uno dei pensatori più estrosi nel panorama dell’ateismo scientifico milanese: ricopriva ancora oggi la cattedra di Filosofia della scienza presso l’Università degli Studi di Milano; è stato inoltre Presidente della Silfs (Società Italiana di Logica e Filosofia della Scienza). Per la Raffaello Cortina Editore guidava la collana “Scienza e Idee” e da anni collaborava con il Corriere della Sera fornendo spunti e provocazioni sulla realtà politica e culturale circostante.



ADDIO AL FILOSOFO DELLA SCIENZA E DELLA LIBERTÀ

Gioiello erra profondo liberale, a “tutto tondo” come pochi se ne erano visti nella Filosofia della Scienza di fine Novecento: ha diviso i suoi studi sulla critica e crescita della conoscenza con forte accento alle discipline fisico-matematiche e l’analisi dei vari modelli di convivenza politica. Ma è sul binario scienza-etica-politica che si è poi snodata l’intera carriera culturale e accademica di Giulio Giorello, lasciando un vuoto importante nel settore non solo universitario: un ateo col quale spesso intellettuali cattolici e religiosi (in più di un’occasione anche all’interno dell’Università Statale di Milano con l’allora arcivescovo Angelo Scola) si sono confrontati e stimolati a vicenda per discutere del principio di libertà che governa e sottende ogni individuo.



Di recente nelle ultime interviste pubbliche, quando già era risultato positivo al tampone Covid-19, Giorello aveva raccontato tutta il suo timore per il futuro immediato della collettività davanti al forte problema dell’identità umana che la pandemia ha messo di fronte: «se la questione della mascherina viene presa in modo ossessivo può nascere un problema di identità. La nostra persona una volta era particolarmente caratterizzata dal volto e dalle sue espressioni. E la mascherina invece queste espressioni le cela. Dunque parliamo di una perdita», aveva spiegato il grande epistemologo intervistato da “Il Dubbio”.

Dal nodo Covid, Giorello arrivava fino a mettere in discussione il tema della responsabilità: «è anche il primo passo per avviarsi sulla strada della non responsabilità. Se non mi si riconosce, non sono responsabile di ciò che faccio. Le conseguenze “morali” nei casi di mascheramento più patologico, possono essere a mio avviso molto gravi». La provocazione sul “rintanarsi” delle persone per paura del virus rimarrà intatta, nonostante la fine purtroppo designata per lui: «distanziamento salva la vita? Certo. Ma se uno esce di casa può essere colpito in testa da una tegola che cade da un tetto. Allora dovremmo vietarci di uscire di casa per evitare tegole vaganti? Certo stando chiusi in casa ci sentiamo più al sicuro. Ma si tratta di una sicurezza ben miserabile».

Per il Corriere della Sera aveva scritto poi l’ultimo suo intervento pubblico dal titolo “La mia battagliano il Covid” dove raccontava amaramente «Quello che io temo maggiormente oggi è una sorta di «stato medico» che vada, in nome della necessità, ben oltre il rispetto del paziente. Per carità, non come se questo fosse un disegno prestabilito ma una conseguenza magari perversa e non voluta di uno stato di necessità. Ed è questo il banco di prova non solo delle autorità mediche, ma anche dei nostri politici. Pensando ai quali non mi sento troppo ottimista».