Secondo il filosofo della scienza Giulio Giorello, se la questione della mascherina viene presa in modo ossessivo «può nascere un problema di identità. La nostra persona una volta era particolarmente caratterizzata dal volto e dalle sue espressioni. E la mascherina invece queste espressioni le cela. Dunque parliamo di una perdita». Lo ha spiegato nella lunga intervista oggi su “Il Dubbio” dopo diverse settimane dalla guarigione da coronavirus che ha fatto temere l’importante epistemologo professore universitario: ora però la diminuzione dell’emergenza sanitaria nazionale unita alle difficoltà per il rilancio di questo Paese, fanno sorgere domande essenziali a Giorello e a tanti altri pensatori intervenuti in questi giorni sul tema. «Se il mascheramento diventa una sorta di ossessione allora è chiaro che la mascherina produce un colpo alla nostra identità personale», spiega ancora Giorello parlando addirittura di rischio di «doppia identità con aspetti fortemente destabilizzanti. La difficoltà principale è che accanto alla fisionomia cui siamo abituati, alla riconoscibilità reciproca che determina, all’immagine di noi che lo specchio di casa ci rimanda, si affianca un altro noi, un noi mascherato che offriamo al mondo che ci circonda e che modifica negli altri la percezione di come siamo». Si può dunque a ben ragione parlare di Stato che “obbliga” a questo tipo di scissione? Non esattamente, puntualizza ancora il filosofo «Diciamo che anche questa faccenda dell’obbligo è una cosa curiosa. Tanta gente andando in giro non la porta. Si tratta di un obbligo per così dire diversificato».
LE MASCHERINE, L’IDENTITÀ E LA GIUSTIZIA
Il punto nodale per Giorello è che la mascherina anti-coronavirus resta e resterà un modo per celare l’identità: «è anche il primo passo per avviarsi sulla strada della non responsabilità. Se non mi si riconosce, non sono responsabile di ciò che faccio. Le conseguenze “morali” nei casi di mascheramento più patologico, possono essere a mio avviso molto gravi». Diviene poi immediato il passaggio dal problema della non responsabilità a quello della “distanza” che sempre di più i cittadini sperimentano anche con il riaprirsi dei confini regionali: da filosofo ma prima ancora da professore all’Università Statale di Milano, il tema della distanza aumenta ancora di più i problemi sul piano educativo-formativo.
«Questa modalità mi pare ci faccia perdere una delle componenti più interessanti dell’insegnamento: il faccia a faccia tra docente e studente. Si tratta di uno strumento enorme di controllo e di valutazione nel corso della lezione stessa. Tutto questo viene perduto e onestamente non capisco bene con cosa si possa recuperare. Stiamo diventando tutti delle università telematiche? Mi viene male solo a pensarci», spiega amareggiato Giulio Giorello, non prima di indicare un problema ben più radicato del coronavirus nel rapporto rischi-azioni «distanziamento salva la vita? Certo. Ma se uno esce di casa può essere colpito in testa da una tegola che cade da un tetto. Allora dovremmo vietarci di uscire di casa per evitare tegole vaganti? Certo stando chiusi in casa ci sentiamo più al sicuro. Ma si tratta di una sicurezza ben miserabile».
Dalla scuola all’università passando per le relazioni e financo alla giustizia con il blocco preoccupante delle udienze nei Tribunali: conclude il filosofo della scienza, «L’esercizio della legge era la prova di un grande teatro. Adesso il grande teatro non più, è sostituito da palliativi. Prima o poi si dovrà tornare alle forme di espressioni classiche della giustizia. Sia nelle aule giudiziarie come in quelle universitarie. Questo tipo di palliativi sono portato a giustificarli soltanto se hanno una durata temporale assai limitata. Questo è il punto di fondo. Se così non fosse, rischiamo di perdere molte componenti rilevanti sotto il profilo umano del nostro vivere sociale».