DEPOSITATA LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE SUL PROCESSO GIULIO REGENI
La Corte Costituzionale ha depositato la sentenza n.192 sull’omicidio di Giulio Regeni, il dottorando italiano dell’Università di Cambridge rapito, torturato e ucciso il 25 gennaio 2016, confermando le anticipazioni emerse lo scorso 27 settembre con il comunicato della Consulta: finisce definitivamente lo stallo sul processo per omicidio contro alcuni agenti dei servizi di intelligence egiziani. La decisione della Corte Costituzionale è stata quella di dichiarare illegittimo l’articolo 402 bis comma 3, del codice di procedura penale, nella norma in cui prevede l’impossibilità di procedere in assenza per i reati di tortura commessi da agenti pubblici.
«Lo statuto universale del crimine di tortura, delineato dalle dichiarazioni sovranazionali e dai trattati, è connaturato alla radicale incidenza di tale crimine sulla dignità della persona umana», si legge nella sentenza depositata oggi 26 ottobre 2023 (le motivazioni usciranno invece nelle prossime settimane). Pertanto, il dovere dello Stato di accertare giudizialmente la commissione di questo delitto «si presenta come il volto processuale del dovere di salvaguardia della dignità», sottolinea ancora la Consulta. La Corte di fatto ha ammesso che il crimine di tortura come tale ha un impatto significativo sulla dignità umana ed è riconosciuto a livello internazionale come un reato grave: per questo motivo, lo Stato ha il dovere giuridico di accertare la commissione di tale crimine attraverso un processo, fino ad oggi rimasto invece in stallo proprio per l’incertezza sulla determinazione di legge mossa dal giudice per le indagini preliminari di Roma.
CONSULTA: “NORMA SU TORTURA CREAVA IMMUNITÀ ILLEGITTIME”. COSA DICONO I GIUDICI
La Consulta accoglie dunque la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Gip di Roma in merito alla celebrazione del processo per il sequestro e omicidio di Giulio Regeni contro agenti 007 del Cairo: la parte contestata del nostro ordinamento è quella in cui non prevede che il giudice procede «in assenza per i delitti commessi mediante gli atti di tortura quando, a causa della mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell’imputato, è impossibile avere la prova che quest’ultimo, pur consapevole del procedimento, sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo».
La Corte ha inoltre osservato che la paralisi del processo per i delitti di tortura commessi da agenti pubblici – che deriverebbe proprio dall’impossibilità di notificare personalmente all’imputato (Giulio Regeni in questo caso, ndr) gli atti di avvio del processo medesimo a causa della mancata cooperazione dello Stato di appartenenza – non è accettabile «per diritto costituzionale interno, europeo e internazionale». Ciò provocherebbe di fatto una sorta di “immunità de facto” che offende «i diritti inviolabili della vittima, (art. 2 Cost.), il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e gli standard di tutela dei diritti umani, recepiti e promossi dalla Convenzione di New York (art. 117, primo comma, Cost.)». Si può dunque procedere alla celebrazione del processo anche in assenza dell’imputato, in quanto «La necessità costituzionale di evitare la stasi del processo può essere d’altronde soddisfatta senza alcuna riduzione delle facoltà partecipative dell’imputato, ma imprimendo ad esse una diversa scansione temporale, che si riassume nel diritto dell’imputato a ottenere in ogni fase e grado la riapertura del processo». In definitiva nella sentenza sul caso Giulio Regeni, rimettendo in ultima analisi al giudici comune l’attuazione di questo diritto nella concretezza del singolo caso, la Consulta ha sottolineato che «esso, proprio perché conserva all’imputato ogni facoltà processuale, garantisce che la procedibilità in assenza per i delitti di tortura statale sia rispettosa del principio del giusto processo».