Il processo sul caso di Giulio Regeni continua. La Corte d’Assise di Roma ha rigettato le eccezioni sollevate dalle difese dei quattro 007 egiziani accusati della morte del giovane ricercatore friulano rapito, torturato e ucciso in Egitto nel 2016. Nell’ordinanza, i giudici hanno stabilito che il processo in contumacia a carico degli imputati deve andare avanti e ha quindi respinto tutte le questioni pregiudiziali e preliminari avanzate dai rispettivi avvocati.



Le modalità prescelte per il sequestro – secondo quanto si legge nel provvedimento riportato da giurisprudenzapenale.comnon possono che essere ispirate a quelle finalità essenziali della tortura pubblica di tipo punitivo e/o intimidatorio“. Giulio Regeni, scrivono i giudici romani, fu vittima di “brutale e gratuita violenza fisica e di inflizione di sofferenze corporali personali che non possono che avere prodotto, per la loro imponenza, gravissimo dolore e tormento in senso stretto, in un crescendo che ha originato l’evento morte, anche a voler trascurare il dato del patimento psicologico“.



Giulio Regeni, i giudici della Corte d’Assise di Roma: “Vittima di tortura pubblica”

Nella stessa ordinanza della Corte d’Assise di Roma, i giudici scrivono inoltre che “le modalità esecutive prescelte per il sequestro“, già di per sé capaci di produrre nella vittima una condizione di “grave sofferenza psichica e di prostrazione morale, aggiunte alla mortificazione corporale“, sono da ritenersi “ispirate a quelle finalità essenziali della tortura pubblica di tipo punitivo e/o intimidatorio“.

Nel caso di Giulio Regeni, come rilevato dalla Corte, “le modalità della privazione della libertà personale subita devono ritenersi attuate in forma tale da andare ben al di là del nucleo costitutivo di un ordinario sequestro di persona, benché aggravato dall’essere stato realizzato da un pubblico ufficiale con abuso dei poteri inerenti le sue funzioni” perché la vittima fu “del tutto arbitrariamente ed immotivatamente privata della libertà di movimento per nove giorni, libertà pesantemente pregiudicata da condotte costrittive tradotte nel suo trasferimento ed internamento infine in un Centro egiziano di detenzione e tortura (sito a Lazougly), tale indicato dal pubblico ministero, in condizioni dunque di per sé inumane, privato del diritto di difesa e di accesso al Giudice nonché di contatti di qualsiasi natura con soggetti terzi esterni alla struttura (si trattasse di familiari, amici o delle Autorità consolari italiane), lungamente trattenuto in assenza di incolpazioni tradottesi in atti convogliati presso una qualsiasi autorità giudiziaria cui appellarsi e far valere le proprie ragioni, oggetto nel medesimo, intero, periodo di restrizione ingiustificata di condotte crudeli all’origine di acuti dolori fisici, frutto di crudeltà e sevizie, quand’anche indotte da mani altrui, rispetto a cui la restrizione personale era funzionale, che la contraria azione degli imputati avrebbe potuto far cessare sol che l’avessero voluto” in quanto la vittima era affidata alla loro “custodia e alla loro potestà di vigilanza e controllo“.