A quasi quattro anni dalla morte di Giulio Regeni, il ricercatore friulano ucciso in Egitto attende ancora giustizia. Tra depistaggi, inchieste, ostacoli politici e diplomatici, i genitori del ragazzo italiano chiedono ancora alle istituzioni italiane che si facciano portavoce della loro richiesta, quella di far prevalere la giustizia alla ragion di Stato. Una delle ultime novità è arrivata negli ultimi giorni, subito dopo l’incontro al Cairo tra il premier Conte e il presidente egiziano al Sisi ma, soprattutto, in seguito alla visita svolta da una delegazione di Carabinieri e polizia incaricati delle indagini ai propri colleghi cairoti. Come riportato da Il Fatto Quotidiano, nel giorno del 32esimo compleanno di Giulio Regeni, la Procura generale egiziana ha annunciato, con un comunicato informale, la costituzione di una nuova squadra investigativa che si occuperà delle nuove indagini sulla sua morte.



GIULIO REGENI, LA TESTIMONIANZA DELL’UOMO DELL’INTELLIGENCE

Già a fine agosto il presidente egiziano, a margine del G7 in corso a Biarritz, in Francia, aveva assicurato al premier italiano “l’impegno per scoprire le circostanze del caso e arrivare ai criminali e consegnarli alla giustizia”. Come sottolineato dal portale di Amnesty International, a due anni dal ritorno dell’ambasciatore Cantini al Cairo, nessun passo avanti è stato fatto nelle indagini sulla morte di Giulio; tanti, al contrario, sono stati gli accordi economici e commerciali stretti fra l’Italia e l’Egitto, alcuni dei quali aventi anche come oggetto armi e sistemi software che consentono di spiare a distanza dati e informazioni personali. Tra le novità investigative di maggiore rilievo degli ultimi mesi certamente la testimonianza di un funzionario dell’intelligence egiziana, che ha raccontato di aver preso parte al sequestro del giovane ricercatore italiano ucciso al Cairo in circostanze misteriose nel gennaio 2016. L’uomo, che ha contattato gli avvocati della famiglia di Giulio, ha raccontato: “Credevamo che fosse una spia inglese, lo abbiamo preso, io sono andato e dopo averlo caricato in macchina abbiamo dovuto picchiarlo. Io stesso l’ho colpito più volte al volto”.

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