leggera” italiana che vengono ricordati per i loro successi d’alta classifica, con lo stigma del tormentone estivo, non necessariamente identitario del proprio percorso umano e artistico.

Giuni Russo che ci ha lasciato, a causa di un tumore all’età di 53 anni, ormai vent’anni fa, il 14 Settembre 2004 è presente nell’immaginario collettivo per la sua interpretazione del Battiato autore di “Un’estate al mare”.



Conterraneo della Russo, il cantautore siciliano la avviò al grande pubblico con una “canzoncina” delle sue negli echi stilistici de “La voce del padrone” clamorosa hit dello stesso anno (1981).

Voce molto particolare con una estensione di ottave più unica che rara nel panorama canoro (non solo italiano) Giuseppa Romeo (il suo vero nome all’anagrafe palermitana), dotata di una immagine quasi androgina (ma non ripudiando mai la sua femminilità) ha vissuto la sua carriera per un buon numero di anni a “rimorchio”  di quello straordinario successo popolare, cavalcando fino a metà degli anni ’90 un repertorio un po’ “borderline”, un pop esotico a tratti sperimentale.



Dalla metà dell’ultimo decennio affacciato al nuovo millennio, Giuni Russo decise di lasciar perdere “la leggerezza” nazional-popolare e intessendo un rapporto artistico sempre più stringente con Franco Battiato e il suo gruppo di lavoro, volle dare una svolta profonda al suo catalogo, che fosse lo specchio di ciò che stava vivendo nella sua vita personale e cioè il suo avvicinarsi alla religione cattolica dopo aver scoperto le figure dei santi della mistica cristiana come Santa Teresa d’Avila, San Giovanni della Croce, l’ebrea Edith Stein, filosofa convertitasi al cristianesimo, martire nel lager nazista di Auschwitz e beatificata nel 1987 da San Giovanni Paolo II come Suor Teresa Benedetta della Croce.



Inizia così una produzione discografica che la allontana dal grande pubblico ma che la rende punto di riferimento per i cultori del “crossover”, la ricerca musicale alla scoperta di una ispirazione religiosa liturgica e profana (un lavoro artistico del quale in questi anni è protagonista Antonella Ruggiero, altra grande voce “fuori dal coro”).

Dopo circa dieci anni nei quali con l’apporto produttivo curato da Maria Antonietta Sisini, amica intima anche nella vita quotidiana la carriera della Russo è colma di scelte artistiche inquiete e vivaci che sono causa di difficili e burrascosi rapporti con i dirigenti della sua casa editrice (la CGD), nonostante le molte ospitate televisive molto apprezzate da pubblico e colleghi, l’attenzione esistenziale della cantante ha una svolta quando nel 1994, legge essendone poi molto colpita gli “Esercizi spirituali” di Sant’Ignazio di Loyola, tanto che, per soddisfare la sua curiosità, visita accompagnata dalla Sisini, il Monastero aretino di San Sepolcro incontrando un sacerdote gesuita che le introduce nella Regola della Compagnia di Gesù. In quei giorni le due donne scoprono anche  gli scritti di Santa Teresa d’Avila, fondatrice delle Carmelitane Scalze.

Affermerà la Russo: “Ho sentito l’esigenza di svolgere un percorso spirituale, fin quando non mi sono imbattuta nei testi di Santa Teresa d’Avila che hanno rapito il mio cuore. Mi ha aiutato a cercare Dio e a trovarlo. Credo di aver capito che Teresa ci aiuta a conoscere Cristo. Come succede con gli scritti di San Giovanni della Croce”.

Da quel momento molti testi delle sue nuove canzoni saranno ispirati dall’opera di questi due mistici protagonisti della storia della cattolicità, pur avvertendo che “resto una cantante e non uso la mia spiritualità a fini di business”.

Si comincia con la realizzazione di brani molto espliciti (sempre sotto la guida della Sisini e di Battiato) tra i quali “La sposa” registrato con il coro delle Carmelitane Scalze del Monastero di Milano (più avanti nel racconto ci sarà lo spazio per questo fondamentale capitolo) e “La Sua figura”, ispirata a San Giovanni della Croce (“Sai che la sofferenza non si cura se non con la presenza e la figura”), brano scelto per partecipare al Festival di Sanremo nel 1994 e che invece fu bocciato dalla giuria selezionatrice: “Cosa devo pensare? Comprendo, vogliono altro. Peccato. È una costante della mia vita artistica: ogni volta ho cercato di elevarmi, ho litigato con tutti. Volevano una canzonetta radiofonica, gli ho risposto che non ho canzonette nel cassetto e non ne cerco. Se devo fare la fame per non cedere a compromessi, la farò. La mia forza è questa, non avendo marito, né figli ai quali pensare, posso vivere con poco. E così mi concedo il lusso, perché ormai è un lusso, di essere un’artista libera”.

Questa coerenza intellettuale la porterà, dopo la terribile scoperta di essere malata di cancro, nel 1999 a chiedere ospitalità alle monache del Monastero delle Carmelitane Scalze di Milano e di vivere con loro come “sorella”, pur senza prendere i voti.

Così la ricorda in una intervista ad “Avvenire” nel 2015, la priora Madre Emanuela: “Era molto riservata ma cercava l’essenziale e aveva una spiritualità affine a quella del Carmelo: intensa, vera, aperta agli altri nonché femminile e moderna. Un giorno disse ‘Sono innamorata di Gesù’ e fu quell’amore che la sostenne nella malattia. Poi aggiunse che, se il Signore le avesse concesso ancora degli anni li avrebbe spesi al meglio, altrimenti, fosse fatta la Sua volontà”.

Promessa mantenuta: quegli anni saranno spesi come testimonianza di questo affidamento tra il lavoro artistico e le dolorose sedute di chemioterapia all’ospedale di Bergamo.

Nel 2002 pubblica un live “Signorina Romeo”, da una tournée che ha visto come scenario le basiliche cattoliche, che diventerà il suo testamento musicale con titoli come “Il Carmelo di Echt” (dedicato ad Edith Stein) e “Nomadi” (due titoli composti da Juri Camisasca, con un passato da novizio benedettino, amico di lunga data di Battiato), le già citate “La sua figura” e “La sposa”, e poi “Adeste fideles” dalla liturgia natalizia, “O vos omnes” (dal profeta Geremia) e le più profane “Il re del mondo”, “Ciao amore” (omaggio a Luigi Tenco), “Un’anima tra le mani” (un brano degli anni ’50 di Don Marino Barreto Jr).

L’ultimo atto pubblico sarà la partecipazione al Festival di Sanremo del 2003: accolta dal factotum Pippo Baudo (l’unico a sapere della sua malattia) concorrerà con il brano “Morirò d’amore” (ispirato ancora una volta da Santa Teresa e San Giovanni della Croce, testo di Sisini, arrangiamenti di Battiato e Roberto Colombo). L’esibizione rende pubblica la sua malattia già in fase avanzata ma non le vieterà una interpretazione intensa e piena di commozione.

In una delle sue ultime interviste confesserà: “Ho fatto pace col mio male ma nonostante la fede ho avuto paura. Ho urlato, pianto, litigato con il Crocifisso. Alla fine ho accettato la malattia, in ginocchio”.

Nella notte tra il 13 e il 14 Settembre dell’anno dopo,  Giuni Russo chiuderà definitivamente gli occhi.

I suoi funerali si terranno a Milano presso il Monastero delle Carmelitane alla presenza di tantissimi amici e colleghi e verrà seppellita tra le tombe delle Carmelitane, come da ultimo desiderio, in una sezione del Cimitero Monumentalemilanese.

Ma la storia pubblica di Giuni Russo ha una splendida appendice: nel 2013 dopo un articolo celebrativo dell’Osservatore Romano , la Sisini invia una copia di un cd antologico della sua compagna di vita a papa Francesco. Pochi giorni dopo, con sua somma sorpresa riceve una lettera dal Vaticano, direttamente da Casa Santa Marta e pur non rendendo pubblico l’intero testo, ne rivela una parte importante, considerandolo come il regalo più bello di tutta la vita e come un desiderio intimo finalmente realizzato da Giuni Russo.

Scrive il Papa: “Sono rimasto commosso … Dio ci cerca, Dio ci aspetta, Dio ci trova … prima che noi lo cerchiamo, prima che noi lo aspettiamo, prima che noi lo troviamo”.

Non poteva che non finire così, con questo sigillo papale la carriera e la vita intensa, alla ricerca dell’essenziale di una delle più grandi interpreti della musica “leggera” italiana, quella della “signorina Romeo”, in arte Giuni Russo.

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