Il dolore è ancora acceso per Margherita Coletta, la vedova di Giuseppe Coletta, il brigadiere dei Carabinieri morto in un attentato in Iraq il 12 novembre 2003 insieme ad altri dodici colleghi, a cinque soldati dell’esercito e undici civili, di cui due italiani e nove locali. “Non è come il primo giorno, si calma un po’ ma rimane”, ha affermato in una intervista al Corriere della Sera. Non è stato affatto semplice affrontarlo, anche perché soltanto un anno prima aveva subito anche la perdita di un figlio di 6 anni per un linfoma.



Quelle ore sono state l’ennesimo dramma. “Verso le otto del mattino ero uscita di casa per portare mia figlia Maria dal pediatra. Ero agitata, anche se avrei dovuto essere felice perché il ritorno di Giuseppe era imminente e, invece, da giorni ero molto turbata e no capivo il motivo”, ha raccontato.  È in quel momento che arrivò la conferma alla terribile sensazione che aveva avvertito. “Appena salita in macchina arrivano le prime telefonate, mi chiedono cosa sia successo in Iraq, lì dove mio marito era in missione di pace”. Una volta a casa, la verità. “Ricordo che mi sono accasciata, poi il nulla”.



La vedova Margherita Coletta e la vita dopo la morte del marito Giuseppe

Margherita, dopo la morte del marito Giuseppe Coletta, ha cercato di portare avanti la sua missione di pace. “Fu detto amerai il tuo prossimo e odierai il nemico. Ma io vi dico, amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori”, disse davanti alle telecamere. Una dichiarazione di perdono che ebbe non poco clamore. “All’inizio pensavo di aver sbagliato a parlare, poi mi resi conto che in quel contesto il rancore avrebbe chiamato il rancore. Per la mia storia, quella frase era vera”.

È così che è andata oltre. “Non ci si può fermare perché, se non c’è qualcosa davanti, la vita stessa diventa banale”. Attraverso una associazione che porta il nome del brigadiere dei Carabinieri Giuseppe Coletta e della moglie Margherita, a ottobre 2004 in Burkina Faso è stato creato un orfanotrofio che ospita decine di bambini sfortunati. Nella stessa zona c’è anche una scuola, dove centinaia di ragazzi studiano. Dalla disgrazia, dunque, si è sviluppata la gioia di altri.