Giuseppe Gibboni è uno dei violinisti più famosi di questo periodo, talento salernitano classe 2001 che è riuscito a vincere il Premio Paganini dopo 24 anni dall’ultimo italiano, Giovanni Angeleri nel 1997. Dopo varie apparizioni tv fra Sereno Variabile, Italia’s Got Talent e Tu si que vales, ma anche l’incontro con Benedetto XVI durante la giornata delle famiglie a Milano, ha ottenuto il riconoscimento che gli spetta, divenendo un musicista immenso. «Inutile dire che la vittoria – le parole di Giuseppe Gibboni riferite al Premio Paganini, intervistato da La Verità – è stata una gioia indescrivibile e da quel momento molte cose sono cambiate. Però resto della mia idea: un grande premio dà la spinta, soprattutto a livello di visibilità, ma da solo non basta per costruire una carriera».
Giuseppe Gibboni racconta di essere stato costretto a lasciare casa per trasferirsi fuori dall’Italia per una questione logistica, «Dopodiché lavoro con un’agenzia internazionale di concerti e ho l’o n o re di suonare due Stradivari». Nel corso della sua carriera Gibboni ha potuto provare il cosiddetto “Cannone”, il violino del 1743 che apparteneva a Paganini: «Un’esperienza da brividi. Oltre al fascino del suono, mettere le mani dove le posò il Maestro è un’emozione difficile da descrivere. Si vedono e si sentono tutti i segni che lui ha lasciato».
GIUSEPPE GIBBONI: “MAI SENTITO UN PREDESTINATO”
Il giovane violinista spiega di non essersi mai sentito un predestinato: «Assolutamente no. Ho iniziato a suonare il violino perché la musica da noi era di casa ed ero affascinato dallo strumento di mio papà. I primi risultati mi hanno fatto capire che potevo combinare qualcosa di bello. È accaduto tutto in modo naturale, niente di calcolato». Per Gibboni il talento da solo “è poco utile” se non addirittura controproducente. «Sto facendo le mie prime masterclass come docente e incontro un sacco di ragazzi che hanno una grande facilità, anche fisica, nel suonare. Peccato che proprio questo dono li porti a non applicarsi e a disperdere le loro potenzialità». Gibboni è un alunno di Salvatore Accardo, il primo italiano a vincere il Paganini: «Da lui ho imparato ad avere un rispetto totale per la partitura per eseguire al meglio l’opera di qualsiasi compositore».
Purtroppo, secondo il giovane musicista, la scuola italiana del violino si sta perdendo: «Bisognerebbe ricostruire a partire da ciò che resta di una grande storia, ma non sto dicendo di essere io quello che potrà farlo. In questo contesto Accardo è una felice eccezione. Arrivano musicisti da tutto il mondo per studiare con lui e i suoi allievi sono riconoscibili. Più che “italiana”, oggi parlerei di scuola “accardiana”». Gibboni ha parlato anche delle fede e di esoterismo: «Non lo dico io, Franz Schubert affermò: “Ho sentito cantare un angelo”. Per me è lo stesso. Paganini fu un pioniere in tutti i sensi, anche a livello di marketing. La leggenda dell’anima venduta al demonio giovò alla sua carriera, ma nella sua musica nulla è diabolico. E l’amore che ebbe per il figlio Achille, di cui si occupò da solo, ci dice che persona fosse».
GIUSEPPE GIBBONI E IL TRILLO DEL DIAVOLO
Ieri sera al Festival BA Classica ha eseguito il Trillo del diavolo di Tartini: «La leggenda vuole che Satana apparve in sogno al compositore che, svegliatosi di soprassalto, provò a trascrivere tutto ciò che ricordava di quella musica disumana. Una storia affascinante che colpì le folle. Il tema incuriosiva molto il pubblico dell’epoca, nulla di più. Se parliamo della nostra interpretazione, credo che sia interessante soprattutto per la trascrizione per chitarra curata da Carlotta».
Carlotta Dalia è la sua compagna: «Riusciamo a trovare un’armonia tra amore e lavoro. I tour diventano delle avventure da affrontare insieme e ritagliarci il tempo per provare è piuttosto semplice». Chiusura dedicata a Bach, uno degli artisti preferiti da Gibboni. Parlando della Ciaccona della Partita n. 2, che Bach scrisse dopo la morte della prima moglie: «Osservandola attentamente ci si accorge che le variazioni sono 33 come gli anni di Cristo e che è divisa in tre parti, a indicare la Trinità. Non solo, il corale Christlag in Todesbanden (Cristo giaceva nei lacci della morte), se sovrapposto, combacia perfettamente. A matita poi il compositore scrisse “Sei solo”. Intendeva Sei sonate e partite per violino solo o il suo era un grido davanti a Dio? Stiamo parlando di musica eterna, mette in soggezione».