Giuseppe Gulotta, oggi 64 anni, sogna da giovane di entrare nella Guardia di Finanza. Per questo appena maggiorenne si recò a Roma per tentare di esaudire il suo sogno, ma invece finì in galera per 22 anni, da innocente. Oggi Giuseppe ha raccontato la sua incredibile storia intervistato da Walter Veltroni per il Corriere della Sera. La sera del 12 febbraio 1976 i carabinieri si recarono con lui con la scusa di avere bisogno di alcune informazioni, ma invece lo portarono via, accusato ingiustamente di aver ucciso due ragazzi dell’Arma, nella caserma di Alcamo Marina.
Giuseppe fu portato in caserma ma nessuno gli rivelò il motivo: “All’improvviso, verso la mezzanotte, si apre la porta ed entra un bel numero di carabinieri. Mi afferrano con forza, mi mettono su una sedia. Mi legano mani e piedi alla sedia e iniziano a bastonarmi e a tirarmi pugni e schiaffi”, ha raccontato Gulotta. I militari lo intimarono quindi a confessare. “È stata una notte tremenda, uscivano e rientravano, quando ritornavano mi dicevano che gli altri avevano confessato, ma non mi dicevano chi erano questi “altri”. Io non capivo di cosa parlassero, mi sembrava tutto assurdo, un incubo inspiegabile”, ha aggiunto. Solo in seguito gli dissero che era accusato del duplice omicidio di Alcamo. Giuseppe era estraneo ma ogni volta che lo faceva presente “partivano i pugni”.
Giuseppe Gulotta: la confessione e le accuse a suo carico
Il giorno seguente Giuseppe Gulotta svenne: “Quando sono rinvenuto gli ho detto che avrei confessato quello che volevano, tutto quello che volevano, purché la facessero finita. È così che mi sono autoaccusato”, ha svelato. Anche dopo la confessione forzata la violenza nei suoi confronti non finì. Ma perché il giovane decise di confessare qualcosa di cui era totalmente estraneo? “Avevo diciotto anni, ero terrorizzato. Volevo solo che finisse, che finisse presto. Mi dicevano che se non confessavo non sarei mai più uscito. Avevo dolore e paura”, ha spiegato. A Giuseppe gli fu così fatto firmare un verbale in cui si autoaccusava del delitto dei due ragazzi. Poco prima della firma Gulotta fu tentato a tirarsi indietro ma fu nuovamente minacciato, e quindi lo fece.
Il suo nome fu avanzato da un ragazzo che conosceva, Giuseppe Vesco, anche lui trattato nello stesso modo dai carabinieri, se non addirittura peggio, come raccontò alla Commissione Antimafia Nicola Biondo, un giornalista che ha seguito da sempre questa vicenda. Fu Vesco, dunque, a fare il nome di Gulotta ed altri due amici, indicando anche una persona adulta che Giuseppe neanche conosceva. A quel punto il caso è chiuso: c’è la confessione da parte di tutti, numerosi appelli ed infine la Cassazione. Poi però il colpo di scena: “Una sera uno dei miei figli ha trovato sul sito di un programma Rai il messaggio di un tal Seddik74 che diceva di sapere e di voler dire la verità sugli interrogatori per la strage di Alcamo Marina. Seddik era uno dei carabinieri che aveva partecipato alle indagini. Decise di raccontare la verità. Venimmo interrogati dalla Procura di Trapani. Riscontrarono che raccontavamo le stesse cose”.
Il processo di revisione: tutti assolti
Il processo di revisione sulla strage di Alcamo ebbe inizio nel 2010 e durò due anni. Solo in seguito alle testimonianze ed alle intercettazioni dei sospettati raccolte, si giunse alla verità. Nel 2012 furono tutti assolti “Per non aver commesso il fatto”. “La sentenza è arrivata, è assurdo, esattamente lo stesso giorno del mio arresto. Ma trentasei anni dopo. Ventidue dei quali trascorsi in carcere. Anni che ho regalato allo Stato”, racconta oggi Giuseppe Gulotta.
Nonostante ciò che ha vissuto l’uomo ammette di avere oggi “grande rispetto e grande considerazione” dell’Arma. “Io ce l’ho solo con quelli che hanno sporcato la divisa e non onorato la memoria di quei ragazzi morti che non hanno avuto giustizia”, dice. Resta però aperta una domanda: chi ha davvero ucciso i due giovani carabinieri? La strage di Alcamo Marina resterà uno dei buchi neri della cronaca nostrana sul quale nessuno ha saputo realmente far luce.