Dopo l’appuntamento della seconda settimana, il caso Giuseppe Piccolomo torna anche questa domenica al centro della nuova puntata stagionale di Un Giorno in Pretura. L’accento sarà posto in particolare sul processo in corte d’Assise a Varese relativo alla morte di Marisa Maldera, moglie dell’imputato, rimasta uccisa in seguito alle fiamme che scaturirono da quello che inizialmente fu considerato un incidente in auto, dal quale però lo stesso Piccolomo ne uscì indenne. Tutta una simulazione? Questo il dubbio delle figlie, le principali accusatrice dell’uomo. Tutto ha inizio la notte tra il 19 e il 20 febbraio del 2003 in provincia di Varese. Giuseppe Piccolomo e la moglie Marisa erano proprietari di un piccolo ristorante. Alle 7 del mattino del 20 febbraio, le figlie furono raggiunte da una telefonata dei carabinieri che le metteva al corrente del brutto incidente in auto nel quale erano rimasti coinvolti entrambi i genitori. La donna, purtroppo, perse la vita, morta carbonizzata per via di una tanica di benzina che avrebbe preso fuoco. Le figlie sin dal principio non ebbero dubbi nel credere che tesi dell’incidente fosse inverosimile, puntando il dito contro Piccolomo “perchè la tanica di benzina era una minaccia che mio padre faceva spesso da quando ero piccola”, sostenne la figlia Nunzia nel corso del processo.

GIUSEPPE PICCOLOMO, IL CASO A UN GIORNO IN PRETURA

Chiamato a deporre nel corso del processo per omicidio colposo della moglie Marisa Maldera, Giuseppe Piccolomo raccontò: “Mia moglie stava fumando, vedo che la lattina di benzina si è rovesciata, almeno per metà. Le prendo la sigaretta e gliela butto, quindi ripartiamo”. Secondo la sua tesi, dunque, nonostante in auto si fosse rovesciata quasi mezza tanica di benzina, la moglie avrebbe comunque acceso una sigaretta. “Dopo 200 metri vedo con la coda dell’occhio che accendeva ancora una sigaretta”, raccontò ancora Piccolomo, mentre, a suo dire, la donna era “con i piedi nella benzina”. Eppure per Piccolomo, la moglie era una “drogata di fumo”. Dopo quella seconda sigaretta l’uomo avrebbe fatto un gesto che fece uscire l’auto fuori strada provocandone un incidente: “La macchina ha preso fuoco, non so la dinamica di dove è andata la sigaretta, ma è successo questo”, disse. “Io ho sentito le fiamme addosso, ho tolto subito lo spolverino, sono andato dall’altra parte ma la portiera non si apriva, era incollata!”, si difese. Per quel processo patteggio un anno e mezzo per omicidio colposo.

DAL CASO MOLINARI AL DOPPIO ERGASTOLO

Trascorsero sei anni circa dalla morte di Marisa Maldera, quando la provincia di Varese fu scossa da un nuovo fatto di sangue. E’ ciò che darà il via al caso del “killer delle mani mozzate”. L’anziana Carla Molinari, 82 anni, fu trovata senza vita, massacrata nella sua casa e con le mani mutilate. Le figlie di Giuseppe Piccolomo ipotizzarono subito che il responsabile di quel secondo delitto non poteva che essere il padre. Tanti gli indizi che portarono a lui, dalle impronte di scarpe alle immagini delle telecamere che lo ripresero mentre raccoglieva dei mozziconi di sigaretta da un locale (poi rinvenuti in casa della vittima). Per quel delitto, per il quale si dichiarò sempre innocente, Piccolomo fu condannato all’ergastolo e ciò riaprì anche la strada ad un nuovo processo sulla morte della moglie Marisa, arrivando solo nel 2018 alla riapertura del caso ed infine alle seconda condanna all’ergastolo il 18 gennaio scorso anche per il delitto della moglie.