Giuseppe Remuzzi
non è pienamente soddisfatto delle misure di sicurezza previste dal nuovo Dpcm firmato dal premier Conte, ma non solo. Intervenuto ai microfoni di Libero, il direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri ha esordito evidenziando che oggi, a differenza di sei mesi fa, arrivano in pronto soccorso anche «persone con pochi sintomi che non avrebbero bisogno dell’ospedale», oltre a coloro che hanno una malattia insorta da pochi giorni e dunque «più facile da curare». Un altro fattore da non sottovalutare è che rispetto a marzo «gli studi più recenti concordano sul fatto che la mortalità ospedaliera sia ridotta e lo è dappertutto, anche negli Stati Uniti e persino fra i pazienti più anziani».
Passando ai nuovi provvedimenti, il professor Giuseppe Remuzzi ha messo in risalto che questi dovrebbero essere indirizzati soprattutto a protezione dei soggetti più fragili, andando a scoraggiare comportamenti che oggi sappiamo essere fonti di contagio. E queste non sono i settori maggiormente colpiti dall’ultima legge governativa: «C’è un dato appena pubblicato su Science: la malattia si trasmette soprattutto tra le mura domestiche, dove si è comunque vicini l’uno all’altro, la trasmissione si riduce man mano che aumenta lo spazio tra gli individui e il rischio relativo di contagio in comunità come ristoranti e supermercati non è ancora stato stabilito con certezza».
GIUSEPPE REMUZZI: “ABBIAMO CERTAMENTE BISOGNO DEL MES”
Giuseppe Remuzzi
ha evidenziato che cultura e attività sportive non dovrebbero essere negate, ma ha anche messo in risalto che per evitare la stragrande maggioranza dei conti basterebbe rispettare le precauzioni giuste, ovvero distanziamento, mascherina e lavaggio delle mani. «Può darsi però che i provvedimenti presi dal governo siano una forma di lockdown fatta senza esplicitarlo, se non si può fare nulla nessuno esce di casa», il giudizio del professore, che ha poi bocciato l’uso del termine coprifuoco: «È come se fossimo in guerra: non lo siamo e dovremmo tutti abbandonare immagini come: “trincea”, “prima linea”, “battaglia”, “caduti” e cose del genere; sono espressioni che spaventano ma a mio parere i cittadini non vanno spaventati ma coinvolti in comportamenti virtuosi che finiranno per essere quelli più efficaci». Per Giuseppe Remuzzi una possibile soluzione potrebbe essere dedicare gli ospedali di più piccole dimensioni a pazienti Covid non gravi che non possono stare a casa, strutture dotate di medici e infermieri in grado di assistere questa tipologia di paziente. E il direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri ha un’idea precisa sul Mes: il nostro sanitario avrebbe «certamente» bisogno dei soldi del fondo salva-Stati.