Tra le tracce proposte dal Ministero per la Prima Prova della Maturità 2024, Tipologia A1 – analisi del testo – anche “Pellegrinaggio” di Giuseppe Ungaretti: ecco qui sotto la traccia svolta da Cecilia Arduini per ilSussidiario.net.

COMPRENSIONE E ANALISI – TRACCIA SVOLTA TIPOLOGIA A1 MATURITÀ 2024, PRIMA PROVA SU GIUSEPPE UNGARETTI

Pellegrinaggio è una poesia di Giuseppe Ungaretti inclusa nella raccolta “L’Allegria”, scritta il 16 agosto 1916 mentre il poeta si trova a Valloncello dell’Albero Isolato durante la Prima guerra mondiale.



La poesia si articola in tre strofe, la prima costituita da dieci versi liberi e le altre due da quattro. È assente la punteggiatura ma sono numerosi gli enjambement che rendono i versi molto brevi e conferiscono alla poesia un ritmo spezzato.

Il contenuto è semplice e si articola nelle tre strofe. Nella prima il poeta parla in prima persona e si rappresenta, utilizzando metonimia e similitudini, in agguato tra le macerie. Nella seconda interrompe il proprio ritratto inserendo un’apostrofe a se stesso. Infine nell’ultima strofa riprende la narrazione della sua condizione e racconta la visione improvvisa della nebbia illuminata da un riflettore che sembra trasformarsi in un mare.



Nella prima parte della poesia Ungaretti utilizza due similitudini significative attraverso cui paragona la sua carcassa usata dal fango (metonimia per il suo corpo) dapprima a una suola, poi a un seme di biancospino. L’immagine della suola è immediata, rappresenta infatti qualcosa di consumato, fatto per essere usato. In questo senso allora il suo corpo non è altro che una suola di scarpa che continuerà ad essere levigata dalla terra che calpesta.

La seconda similitudine che utilizza è quella del seme di spinalba. Il seme è qualcosa che, al contrario della suola, è fatto per fiorire, per crescere e portare frutto. È anch’esso immerso nel fango, ma è destinato ad uscirne. Il biancospino poi è simbolo di speranza, forza e rinascita. Dunque questa similitudine diventa centrale per introdurre il senso delle due quartine successive e dell’intera poesia.



La prima quartina è costituita dall’apostrofe che il poeta rivolge a se stesso, seguita da una riflessione personale. Si chiama per cognome, accostando una specie di epiteto: “uomo di pena”. Si tratta di un’espressione con cui il poeta vuole riassumere la propria esistenza fatta di dolori. Ungaretti infatti ha spesso sottolineato di aver sofferto molto per la povertà della famiglia d’origine, per lutti familiari e per le tante ingiustizie subite.

Infine l’ultima quartina costituisce un vero e proprio bagliore di speranza che Ungaretti stesso chiama illusione. Una luce che fende la nebbia sembra il mare. Immagine molto potente per l’accostamento del mare (qualcosa di infinito che apre all’eternità) e la nebbia (qualcosa che chiude l’orizzonte, che soffoca). Ebbene basta questa rapida illusione per generare speranza, per ridare vita a quel seme di spinalba sotterrato nel fango.

INTERPRETAZIONE – TRACCIA SVOLTA PRIMA PROVA TIPOLOGIA A1 MATURITÀ 2024: LA LETTERATURA DI GUERRA, GIUSEPPE UNGARETTI

Ungaretti, con la sua esperienza diretta sul fronte, è certamente l’esempio più completo di quella che è chiamata letteratura di guerra. Egli racconta e trasmette la memoria dei tanti momenti di disperazione che hanno vissuto i soldati durante la Prima guerra mondiale. In un clima drammatico e cupo, dove regna sovrana e incontrastata la morte, appunta i suoi pensieri sulle carte delle pallottole. Ha la necessità di esprimere ciò che ha intorno, le sue emozioni, la speranza di una fine a tutto il dolore che la guerra ha portato.

Nelle sue poesie Ungaretti riesce a condensare l’orrore della guerra e l’attaccamento alla vita, il contrasto tra la morte imminente e l’amore per la vita stessa. In Veglia la “bocca digrignata” del compagno morto e le “lettere piene d’amore” rappresentano due estremi dell’esperienza umana che la guerra mette a confronto.

Altri autori hanno affrontato la tematica della guerra in modi diversi ma altrettanto profondi.

Emilio Lussu scrive il romanzo storico Un anno sull’altipiano in cui racconta una serie di fatti avvenuti in trincea e mostra l’atrocità e l’insensatezza della guerra stessa.

Erich Maria Remarque scrive Niente di nuovo sul fronte occidentale, romanzo autobiografico dove descrive la disumanizzazione e l’alienazione causate dalla guerra. Racconta della perdita di innocenza e della distruzione dell’anima che la guerra porta con sé.

Si tratta di testi che parlano soprattutto di morte ma sono un inno disperato alla vita. Accostarsi alle loro pagine non è facile, è come essere costretti ad assistere ad un tragico spettacolo da cui si vorrebbe distogliere lo sguardo: cadaveri smembrati, continue esplosioni, sangue, urla.

Tuttavia sempre la letteratura serve a dare luce, a illuminare il bene che si nasconde nel triste mistero del male. “Questo ho imparato e dimenticato mille volte, / ora da te mi torna fatto chiaro, / ora prende vivezza e verità. / La mia pena è durare oltre quest’attimo” (Mario Luzi, Aprile Amore).