132esimo Paese su 198 censiti: così si piazza l’Italia – alle spalle di nazioni di recente e sbilenca struttura istituzionale – nell’ultima classifica del “The Global Competitiveness Report 2019” per “efficienza del quadro giuridico nella risoluzione delle controversie”. Centotrentaduesimi su 198. Traduzione: ci sono 131 Paesi del mondo in cui la giustizia è più efficiente che in Italia.
Di questo dato terrificante non s’è parlato ieri, nelle aule di giustizia italiane, dove è stato inaugurato l’anno giudiziario 2020. Che già inaugurare un anno nel primo giorno del secondo mese la dice lunga sull’idea del tempo che hanno in testa in magistrati.
L’episodio che passerà alla labile storia di un Paese in disarmo è la protesta degli avvocati contro il testimonial della forca acritica – per quanto giudice onesto possa essere –, quel Piercamillo Davigo che gli avvocati della Camera penale di Milano hanno deciso di contestare non ascoltandone l’intervento. In segno di protesta contro il consigliere del Csm ed ex pm di Mani Pulite, hanno lasciato l’aula del Palazzo di giustizia di Milano, dove si teneva l’inaugurazione dell’anno giudiziario, non appena Davigo ha preso la parola.
I penalisti si erano rivolti al Csm per chiedere di “bloccare” la presenza di Davigo, rivendicata invece dai magistrati che hanno stigmatizzato la richiesta di “bavaglio” accusando gli avvocati di “voler sanzionare la libera manifestazione del pensiero”. I legali hanno protestato comunque, sventolando tra le mani cartelli con scritti gli articoli 24, 27 e 111 della Costituzione, secondo loro violati dalla riforma della prescrizione che ne prevede il blocco dopo il primo grado di giudizio.
Un disastro morale e istituzionale, senza appello, rispetto al quale da parte della categoria giudiziaria – e salvo i non pochi, ma silenziosi, dissenzienti – non s’è mai levato uno straccio di pensiero autocritico, nemmeno dopo il clamoroso scandalo Palamara, il capo dell’Associazione nazionale magistrati che si è rivelato essere – con i voti di una larga maggioranza delle toghe – un maneggione da sottopotere di prima categoria. Niente, non un fremito di autocritica.
Solo sul tema specifico della prescrizione va segnalata una presa di posizione importante, quella di molti presidenti di Corte d’Appello, perplessi sulla riforma. I presidenti intervenuti hanno tutti infatti, con vari accenti, sottolineato i rischi che potrebbe avere lo stop alla prescrizione senza un’adeguata riforma dei tempi del processo penale. Si vedrà: da segnalare solo, in un fritto misto di dichiarazioni, che Bonafede – autore dell’insensata riforma – si è doluto ieri di essere considerato, per essa, un “manettaro”. E cos’avrebbe dovuto fare di peggio, per accettare l’epiteto? Introdurre la ghigliottina per direttissima col la sola firma di un pm?
Flashback. Francesco Saverio Borrelli, Antonio Di Pietro e gli altri del pool – Davigo compreso – sollevarono dal ’92 in poi, con l’epopea di Mani Pulite, il coperchio di un quadro corruttivo spaventoso, che aveva drammaticamente contribuito ad affossare l’economia e la politica italiane. Sacrosanto, era ora.
Ma i risultati di quella stagione di inchieste e condanne – peraltro largamente imprecise, ancorché nell’insieme moralizzatrici – non sono serviti allo scopo. Nell’insieme, in quasi trent’anni, la politica italiana non si è ripulita, anzi. Né la società civile.
Gli eccessi forcaioli di Tangentopoli e l’abuso della carcerazione preventiva hanno creato un rimbalzo di disgusto dell’opinione pubblica verso l’inefficienza della magistratura, la sua randomica violenza e i suoi privilegi castali. Il boicottaggio di fatto del referendum con cui gli italiani chiesero che i magistrati pagassero i danni cagionati dalla loro azione imprecisa – e non solo da quella dolosa, ovviamente difficile da dimostrare, oltre che rara – ha aggravato la situazione.
L’azione esercitata contro la magistratura dal Berlusconi politico, ricca di elementi giusti ma propugnata dall’uomo meno credibile nel farlo perché a sua volta carico di sospetti gravissimi, fino alla condanna definitiva che lo ha estromesso dai giochi, ha ulteriormente peggiorato il quadro.
Oggi, l’inefficienza della magistratura è uno dei più gravi problemi del Paese, per la sua competitività, per la sua vita sociale, per la credibilità delle sue istituzioni. Ma è anche il problema più dissimulato, per il timor panico che attanaglia la classe politica nell’affrontarlo, temendo ogni parlamentare le rappresaglie che la casta togata può scatenargli addosso, com’è sistematicamente accaduto ultimamente anche a Matteo Renzi, a prescindere dalle sue eventuali effetti colpe.
È il problema più grave, il meno affrontato, il meno risolvibile. In tutto questo, il passaggio sulla scena degli ormai ex-nuovi-politici del Movimento 5 Stelle è stato come un grottesco e vaniloquente flashmob di inconsistenze culturali, avvolte in una nuvola di slogan e mantra risonanti quanto vuoti – “onestà, onestà!” – e culminate in questo delirio della riforma della prescrizione, travestimento estremo della protervia del potere, del “Non hanno pane? Che mangino brioches!” delle Marie Antoniette di ieri e di sempre.
Solo che le rivoluzioni, quelle vere, non sono più all’ordine del giorno. E il potere può dire e fare, incontrastato, quel che vuole.